Di Tony Lucido
Erberto Nazianzeno, originario e con radici profonde in Conza della Campania anch’egli salì sul treno della speranza, varcò i confini dell’Italia, in cerca di lavoro e di fortuna.
Per realizzare la sua voglia di libertà, di crescita, sociale, economica e culturale all’estero, lontano da casa, dai sui affetti provò tanti mestieri, anche molte umiliazioni, ma seppe coltivare sempre nel suo cuore la speranza.
Quattro lunghi anni di duro lavoro nelle miniere non lo piegarono ma, anzi nel buio di queste, tra ricordi di affetti del proprio paese e della sua umanità si accesero le luci delle sue prime poesie. Così anche i versi delle poesie, insieme alla sua forte determinazione, propria dei figli d’Irpinia, lo aiutarono a trovare migliore lavoro dove emergeva il suo intelletto e le sue capacità, insieme alla serenità dell’animo con la quale riuscì a costruire anche una bella famiglia.
Erberto Nazianzeno ha saputo trarre nei momenti più bui, dalla tristezza della lontananza della terra natia e dei ricordi soavi di persone, di sentimenti e di umanità, ispirazione per delle poesie bellissime, dove ha saputo raccontare in versi il “mistero della nascita, la gioia dell’adolescenza, l’impeto della gioventù fino al tormento della crocifissione”. Si, perché “lasciare la propria terra, i propri cari, il primo amore è come essere crocifissi”. Nelle poesie del poeta emigrante, non ci si ferma alla crocifissone ma emerge con forza anche la gioia della resurrezione, cioè la costruzione per sé e per la sua famiglia di un domani migliore, di un futuro sereno, ormai radicato in terra non più straniera, con un cuore diviso a metà, lasciato in parte nella sua Conza, tra ricordi più cari, tra i familiari, tra le persone con i volti scavati dal tempo, dalla fatica, dai sacrifici e negli occhi di quanti hanno pianto per partenze e tragedie, ma che hanno anche saputo sorridere per i ritorni.
Erberto, tra l’altro scrive “Non sono un poeta, ma sono un uomo, un emigrante irpino legato con nostalgia e amore alla terra di origine. Le mie poesie sono il canto e il pianto dell’esule, il ricordo dell’infanzia, il dolore per chi non c’è più, la constatazione del tempo che scorre inesorabilmente”.
Proprio con le espressioni sopra citate, Erberto Nazianzeno, il poeta emigrante, sentendosi intimamente vicino al Papa Francesco, figlio di emigranti qualche tempo fa, volle inviargli il volumetto che raccoglie le sue 33 poesie.
Papa Francesco, purtroppo nella primavera scorsa è scomparso, ma a suo tempo fece pervenire al poeta una bella nota, attraverso cui ringraziava per il pensiero del gradito omaggio del libro e manifestava i sensi del suo apprezzamento della sensibilità espressa nelle poesie verso il mondo degli emigranti.
Infatti, Erberto Nazianzeno faceva riferimento costantemente agli emigranti, ai loro intimi drammi, al dolore delle partenze, degli abbandoni, degli addii, delle notti con gli occhi che grondavano di lacrime a guardare le stelle e la luna che erano le stesse del paese lontano; così per sentirsi ancora lì, nei vicoli, nelle strade, nelle piazze silenziose, dove però riecheggiano di voci care, lontane, di ricordi mai spenti, di riti e processioni, di feste, di campane che suonano al vento, di radici profonde e anche di consapevolezza di un mondo cambiato, di nuove realtà e di storie individuali modificate.
Così i due, Francesco, il Papa figlio di emigranti e Erberto Nazianzeno, poeta emigrante, uno leggendo le poesie dall’altro scritte, hanno trovato prima qui sulla terra e ora lassù in cielo, in Paradiso, le emozioni di una dolcezza del tempo che fu e le ragioni della speranza perché questo mondo alimentato anche dalla cultura, dai valori e dalla fede cristiana, possa sempre più abbattere i muri delle divisioni, costruire ponti per evitare per quanto possibile le partenze, quelle costrette dalla fame, dal bisogno, dalle guerre e dalle necessità.
A me piace ricordare questo rapporto tra Papa Francesco e Erberto Nazianzeno per diverso tempo celato, tra pudore e riservatezza dai familiari, che conferma la sensibilità di entrambi, soprattutto verso il mondo degli emigranti e l’amore verso le persone, con la loro storia e l’umanità di cui sono portatori sempre.