Il primo finanziamento ottenuto dal Comune di Avellino per abbattere i prefabbricati pesanti in città era addirittura in lire: 116 miliardi per abbattere e ricostruire, ma quelli dell’area Baccanico sono ancora tutti lì: nove prefabbricati pesanti, abitati da un totale di 136 famiglie. Tutti e nove costruiti nel dopo terremoto alle spalle del centro sociale Samantha Della Porta. Tutti con il tetto rivestito d’amianto (come si usava all’epoca) e con le facciate ormai sgretolate dal tempo e dalle infiltrazioni di acqua. Dovevano essere abbattuti e ricostruiti già nel lontano 2001: sarebbero dovuti scomparire, insieme all’amianto, 24 anni fa. Ma sono in piedi, con tutti i problemi che nel tempo, in un quarto di secolo, si sono accumulati, mentre schiere di sindaci volenterosi hanno continuato a promettere e a non mantenere.
I nove prefabbricati sorgono tra via Nicolodi e via De Venuta, a pochi metri dalla centralissima via Morelli e Silvati, di fronte al campus scolastico della Perna Alighieri, dove ogni mattina fanno lezione centinaia di bambini delle classi elementari e medie, e accanto ad una serie di altri istituti superiori che accolgono quotidianamente altre centinaia di studenti.
Anche all’attuale reggente del Comune di Avellino, il commissario straordinario Giuliana Perrotta, arrivano richieste di intervento da parte dei residenti: sia per mettere in sicurezza quei tetti di amianto, sia per sapere che fine abbiano fatto quelle decine di milioni di euro ottenuti dal Comune per riqualificare l’area: “Erano fondi per l’abbattimento e la ricostruzione – ci spiega un residente della prima ora, Domenico Magliaro – che sembrano evaporati. Anzi, su questo ‘non uso’ di ingenti fondi pubblici chiediamo si interessi anche la Procura di Avellino, perché di sicuro questi nove prefabbricati non sono stati abbattuti. E in tutti questi anni non ho nemmeno mai visto nessun operaio venire a mettere in sicurezza i nostri tetti, non hanno mai eseguito quei lavori minimi di messa in sicurezza per isolare l’amianto che c’è sulle nostre teste. Se mai dovessero fare uno studio medico-scientifico su quanto sia aumentata l’incidenza delle morti per asbesto in questa zona non so cosa emergerebbe. E non è un problema che riguarda solo noi che ci abitiamo: il pericolo dell’amianto aumenta quando questo si sfarina e le sue polveri vengono sparpagliate dal vento”.
Magliaro è tra quella quarantina di residenti che all’epoca della legge De Simone, nel 1995, decisero di diventare proprietari dell’alloggio popolare in cui vivevano: “Un passaggio – ci racconta – che non è stato per nulla facile. Perché quando, proprio in quegli anni, le case popolari passarono dal patrimonio dello Stato a quello comunale, il Comune di Avellino decise di non riconoscerci più il diritto di proprietà, costringendoci a fare ricorso alle sedi giudiziarie. Naturalmente, dopo vari gradi di giudizio, ottenemmo giustizia, ma il risultato fu che nel frattempo il Comune di Avellino, per difendersi contro di noi, dovette pagare, sempre con soldi pubblici, stuoli di avvocati e consulenze esterne che oggi vediamo concretizzarsi nel lungo elenco di ‘debiti fuori bilancio’ che ha portato a quel rischio dissesto a cui sta ora cercando di rimediare il commissario straordinario Perrotta. E’ assurdo”.
“Ed è ancora più grave che tutti ci stiamo ormai rassegnando all’andazzo di questo sistema marcio e inadeguato. E volete sapere un’altra cosa assurda? – aggiunge Magliaro – Questo nuovo palazzo che il Comune ha fatto costruire in via De Venuta era destinato inizialmente proprio ad ospitare trenta famiglie di via Nicolodi, per poter almeno liberare i primi due prefabbricati pesanti e dare il via, finalmente, a quel progetto di abbattimento e ricostruzione avviato nel 2001. Bene: il palazzo di via De Venuta è stato praticamente completato, mancano solo le rifiniture esterne, ma tutto si è di nuovo bloccato perché ancora una volta sono cambiate le carte in tavola; la Regione ha deciso che lì non ci devono più andare gli assegnatari degli alloggi di via Nicolodi, ma che bisogna attingere alle graduatorie generali di tutta la città, con il risultato che quei nove prefabbricati pesanti non si potranno liberare e non potranno essere abbattuti”.
Nemmeno a volerlo fare apposta, quando, l’altra mattina, siamo arrivati in via Nicolodi per documentare lo stato dei prefabbricati pesanti, abbiamo trovato sul posto due squadre dei vigili del fuoco di Avellino. “Non è poi così strano – ci dice rassegnato Magliaro –, vengono spesso. O per arginare l’ormai cronica caduta di calcinacci, o per liberare le canaline dell’acqua dei tetti, intasate e che causano infiltrazioni nei nostri appartamenti”. E aggiunge: “Se ci fate caso in ognuno dei nove prefabbricati si vede una sezione costruita in maniera diversa, tradizionale, con il cemento armato. Si tratta del vano scale, ed ormai quel cemento si cadendo letteralmente a pezzi, con l’aggravante che dal cemento spuntano quelle lunghe e spesse sbarre di metallo usate come rinforzo. Qualche tempo fa una di quelle sbarre si staccò dal muro e solo per fortuna non uccise nessuno. Ormai quasi tutte queste facciate dei vani scala sono transennate. Questi palazzoni sono dei fantasmi, non dovrebbero esistere più da oltre vent’anni”. La domanda, terribile, è sempre la stessa: cosa ci hanno fatto con i soldi del progetto di abbattimento e ricostruzione?
















