Nicola Giordano, ex consigliere comunale del Pd, lei da tempo chiede le primarie per la scelta del candidato alle amministrative di Avellino. Perché?
Perché c’è bisogno di maggiore coinvolgimento delle persone; perché le primarie sono uno strumento di partecipazione democratica previsto dallo statuto del Pd. Anche Elly Schlein è stata eletta segretaria attraverso le primarie, e ora con le primarie si vuol scegliere anche il candidato del centrosinistra alla presidenza del Consiglio dei ministri. E non comprendo perché lo strumento delle primarie non possa essere utile anche per il Pd e per il centrosinistra di Avellino. Chiedo le primarie per la scelta del candidato sindaco perché alle ultime amministrative la decisione sul nome presa “a tavolino” non ha prodotto l’effetto sperato. Eppure la coalizione aveva fatto un buon lavoro sul programma, c’era stato un intenso dibattito. Ma al momento di individuare il candidato sindaco si è interrotto il percorso politico, sono cominciati i problemi. Quel programma è ancora attuale, quella visione di città, credo, sia valida.
L’alleanza cittadina della volta scorsa tiene ancora?
Credo di sì. Attraverso le primarie dobbiamo comunque allargare ancora il confronto e coinvolgere di più gli alleati, ad esempio i moderati di Italia Viva, che alle regionali, in particolare qui in Irpinia, hanno confermato un forte radicamento, mentre alla vigilia delle scorse amministrative parteciparono al dibattito da ospiti dell’ultima ora.
Le primarie, lei dice, sono una soluzione pacifica e anche vincente.
Rappresentano la soluzione più pacifica e allo stesso tempo più efficace. Servono a superare le liturgie di palazzo e di conseguenza a favorire la partecipazione popolare, ad evitare ingerenze romane o di altro tipo che rispondono a logiche esterne e che fanno della città una camera di compensazione di rapporti di forza che poco hanno a che vedere con Avellino. E non mi riferisco solo agli accordi tra partiti che si dividono le candidature nei capoluoghi al voto. Noi dobbiamo fare in modo che la città sia protagonista, con una propria proposta, senza subire manovre politiche stantie e retaggi fallimentari.
Primarie: quando?
Il tempo non gioca a nostro favore. Bisogna decidere subito e già a gennaio stabilire le regole. Le primarie non possono essere organizzate in un mese, altrimenti servirebbero soltanto a ratificare decisioni prese altrove. Occorrono regole certe e condivise, e bisogna che ogni candidato abbia la possibilità di spiegare alla città cosa vuole fare. Occorre intercettare quanti più elettori è possibile, ascoltare e far parlare 36mila cittadini.
Se c’è disaffezione verso la politica è anche perché mancano occasioni di partecipazione attiva.
Quali regole?
La prima: tempi rapidi per l’organizzazione e sufficienti per il confronto con i cittadini, per arrivare a tutti i cittadini. Tempi sufficienti a far sì che ogni candidato possa giocarsela alla pari, che chi è meno conosciuto possa recuperare. Seconda regola: chi si candida sottoscrive un patto d’onore con gli alleati, impegnandosi, in caso di sconfitta, a candidarsi come consigliere comunale e a non ricoprire incarichi nell’amministrazione per i successivi cinque anni, rinunciando ad ogni eventuale ruolo di vicesindaco o di assessore o di presidente di un ente collegato al Comune. Così avremmo la certezza che chi partecipa alle primarie lo faccia per diventare sindaco.
In passato ad Avellino le primarie non hanno funzionato.
Perché, come dicevo, erano la ratifica di una decisione già presa.
Ma secondo il risultato delle regionali non spette al Pd dettare la linea alle amministrative?
Questa tornata elettorale consegna al Pd una grande responsabilità, una apertura di credito, e dobbiamo dimostrarci all’altezza.



