di Egidio Leonardo Caruso
Ha fatto discutere la sentenza di primo grado con la quale lo scorso 4 Dicembre la Corte d’Assise di Asti, ha ritenuto colpevole condannandolo a 17 anni di carcere, oltre al pagamento delle spese processuali, Mario Roggero gioielliere di Grinzane Cavour nel cuneese, che il 28 Aprile 2021 ha sparato uccidendo due rapinatori e ferendone un terzo, dopo che moglie e figlia erano state aggredite per farsi consegnare soldi e gioielli.
La condotta posta in essere dall’imputato non è stata ritenuta dai giudici come rientrante nei casi di legittima difesa, prevista dalla Legge n. 36 del 26 Aprile 2019, che all’art. 52 del codice penale stabilisce i requisiti in presenza dei quali, è esclusa la punibilità:
• l’esistenza di un diritto da tutelare (proprio o altrui)
• la necessità della difesa;
• l’attualità del pericolo;
• l’ingiustizia dell’offesa;
• il rapporto di proporzione tra difesa e offesa.
Nel caso specifico occorre far riferimento alla Legge n. 59 del 2006 sulla legittima difesa domiciliare, all’art. 614 c.p. (violazione di domicilio) è stabilito, il diritto all’autotutela in un domicilio privato (secondo comma), che la giurisprudenza ha riconosciuto anche negli spazi condominiali, oltre che in un negozio o un ufficio (terzo comma). In tali ipotesi, è autorizzato il ricorso a «un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo» per la difesa legittima della «propria o altrui incolumità» o dei «beni propri o altrui»; in relazione alla difesa dei beni patrimoniali, ai fini della sussistenza della scriminante: a) il reo non deve avere desistito (dall’azione illecita) b) deve sussistere il pericolo di aggressione.
È bene per offrire un quadro quanto più possibile chiaro dei fatti, procedere ad una breve ma necessaria ricostruzione. Il gioielliere dalle telecamere di videosorveglianza di cui è dotata l’attività, vede entrare il primo rapinatore che finge di voler acquistare una catenina, dopo pochi minuti entra il secondo rapinatore, uno tira fuori la pistola, l’altro il coltello e ha inizio la rapina, gettando nel terrore moglie e figlia, nel frattempo, il gioielliere assiste alla scena nel laboratorio della gioielleria.
Uno dei rapinatori colpisce violentemente al volto la moglie tentando di forzare la porta blindata del laboratorio, si ode un urlo disumano a quel punto il signor Roggero esce, ed intraprende una colluttazione con i rapinatori.
Uno dei rapinatori gli punta la pistola in faccia minacciandolo di morte, se non gli avesse dato tutta la merce, il gioielliere lo “accontenta”, cercando al contempo, di attivare il pulsante antirapina. Non paghi del bottino accumulato, i due malviventi chiedono di portar via l’incasso, solo a quel punto che il signor Roggero ancora in preda all’enfasi del momento, tira fuori la pistola regolarmente detenuta mettendo in fuga i due rapinatori.
Tuttavia non vedendo la moglie decide di inseguire i due malviventi all’esterno, sparando tre colpi nella loro auto, accade tutto in pochi istanti, li uccide e ferisce un terzo.
Certamente occorre che la giustizia segua il suo corso, tra le altre cose bisogna precisare che farsi “giustizia da soli” è sempre l’estrema ratio e la stragrande maggioranza di coloro che detengono un’arma, non la utilizza di certo con il principale intento di uccidere.
Trovandoci in uno stato di diritto un onesto cittadino che paga le tasse e si alza la mattina per guadagnarsi il pane, dovrebbe avere il sacrosanto diritto di essere difeso dallo Stato, tuttavia occorre costatare amaramente, che lo Stato stesso e i suoi uomini spesso si trovano con le “armi spuntate” rischiando la propria vita, o peggio ancora finendo a loro volta sul “banco degli imputati”, con procedimenti disciplinari o penali a proprio carico. L’aspetto che più colpisce e fa riflettere è che spesso le vittime oltre a dover subire violenze, aggressioni, veder violati i luoghi dove trascorrono la loro vita, restando difatti segnati per sempre nella mente e nell’anima, finendo col vivere in uno stato di paura e turbamento perenne, spesso costretti a chiudere la propria attività dopo anni di sacrifici, ancor peggio perdendo la vita stessa, vengono condannate a risarcimenti milionari in favore delle famiglie degli aggressori.
Viene proprio da pensare che viviamo sempre più in un mondo alla rovescia dove tutto è concesso, le regole possono essere “dimenticate”, bypassate tanto mal che vada, ce la si cava con poco “un patteggiamento”, “la buona condotta” e spesso si ritorna a delinquere peggio di prima.
C’è una questione culturale da affrontare e sradicare, l’idea che nella vita si possa avere qualsiasi cosa senza fare sacrifici per conquistarsela, senza dover rinunciare a qualcosa per giungere alla meta ambita, senza doversi mettere in discussione, assumersi la responsabilità delle proprie azioni, insomma bisognerebbe far tornare di moda l’onestà.
È il senso di impunità diffusa che spesso incoraggia condotte illegali che gradualmente portano ad atti sempre più violenti, che col tempo finiscono per diventare casi irrecuperabili. Senza dubbio è necessario ritornare alla certezza della pena, rivedere le attenuanti per quei reati particolarmente violenti e reiterati, intensificare nelle famiglie e nelle scuole l’educazione alla legalità, con un maggior coinvolgimento delle Forze di Polizia, anche attraverso il contatto diretto con quanti si trovano a dover vivere la realtà del carcere.
Come non far riferimento a tal proposito a quanto suggerisce Cesare Beccaria nel suo libro, Dei delitti e delle pene (1764) “Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.”