Il fair play e la tradizione sono stati messi a dura prova ma alla fine la più antica democrazia del mondo, quella americana, ha retto salvata anche dai repubblicani e la transizione Trump- Biden ha preso avvio salutata dal record della borsa di Wall Street. Ci sono volute tre settimane dal voto e Trump ha chiesto i controlli che per legge ha diritto di chiedere, ma i diversi conteggi non hanno cambiato il risultato delle elezioni. In base alla legge e alla Costituzione, entro la fine di novembre gli Stati devono certificare i risultati delle elezioni, l’8 dicembre compilare le liste dei grandi elettori, e il 14 il Collegio dei grandi elettori deve votare il nuovo Presidente. Da un punto di vista politico il sovranismo non finisce con la sconfitta di Trump, ma resta una tendenza mondiale che prosegue. Nel tempo della crisi economica si è fatta largo la scorciatoia dell’antipolitica, leader che si rivolgono direttamente agli elettori scavalcando mediazioni e responsabilità collettive in nome di un diffuso individualismo. La polemica feroce, l’odio per il tuo avversario considerato un nemico, il rifiuto della complessità sostituito dal messaggio semplificato sono le ricette di chi pensa che la politica sia solo rottura e non capacità di ricucire. Tutte le democrazie occidentali hanno allevato nel proprio seno dei leader che coltivano illusioni. E’ cresciuta nell’opinione pubblica la confusione e l’incertezza, si sono frantumati i vecchi equilibri politici e in questo clima nuovo è avvenuta l’ascesa delle forze anti-sistema che hanno sostituito i partiti tradizionali. Le ansie, le paure i bisogni sono stati la spinta determinante che hanno condotto ad un nuovo bipolarismo tra chi cavalca le paure e chi difende le dinamiche di una società liberal-democratica. Il terreno di contesa è cambiato e una società sempre più lacerata ha bisogno di altri strumenti di conoscenza per affrontare le nuove sfide che investono un mondo sempre più globale. Le vecchie ideologie non ci sono più e sono state sostituite da una società rancorosa che vive di strappi e divisioni. Lavorare per una maggiore condivisione non è facile e però come dice D’Alema la politica si afferma quando il bisturi torna in mano ad un chirurgo e non ad un macellaio. Negli ultimi anni è accaduto il contrario, le democrazie liberali non hanno retto l’onda d’urto di una globalizzazione non governata e le nuove insicurezze hanno prodotto una “rivolta” contro l’establishment di governo e hanno diviso le società democratiche. Molto spesso i governi si fanno forza delle loro fragilità e della mancanza di alternative, non gestiscono e non decidono ma si limitano a galleggiare. Il Paese che ha resistito meglio a questo profondo mutamento è stata la Germania, che dal 2005 è governata dal partito centrista della Cancelliera Angela Merkel. Il caposaldo delle istituzioni e della cultura politica occidentale resta però il famoso aforisma di Winston Churchill “la democrazia è la peggior forma di governo, eccetto tutte le altre sperimentate finora”. E’ da questa considerazione che occorre ripartire e far svanire il disamore dell’opinione pubblica, quella che il direttore dell’Espresso Marco Damilano chiama “la frattura, l’impossibilità di riportare ad unità la necessità di governare le società complesse, un fenomeno che è più ampio del populismo e dei suoi rappresentanti politici o dell’antipolitica. E’ una guerra civile permanente che attraversa gli schieramenti in modo trasversale, perché la sfiducia nei confronti della politica o delle istituzioni non ha colore, non è soltanto della destra o della sinistra, anche se poi è la nuova destra a beneficiarne, quella parte che scommette e investe sulla disgregazione del corpo sociale per poi trovare una soluzione verticale: un capo”.
di Andrea Covotta