Arriva da un giovane irpino, Mario Cucciniello, una bella riflessione sul senso di cui si carica oggi il Natale. La pubblichiamo di seguito.
Siamo alla soglia delle festività natalizie, davanti ai nostri occhi nelle vetrine dei negozi sfavillano ipotetici regali che forse doneremo, la fretta e l’ansia avvolgono tutti e come senza meta un po’ infreddoliti, pensiamo a tutto ciò che ci attenderà da qui a qualche ora. La gioia del momento sembra per un attimo cancellare preoccupazioni e fatiche che sono destinate a ritornare l’8 gennaio che quest’anno capita di lunedì, dopo tutte le feste, quando una nuova settimana ci catapulterà in questo nuovo anno: il 2024.
Cosa resta oggi del Natale? Tante persone e credenti se lo chiedono, oramai come un piccolo gregge sembrano fare fatica a ritrovarsi e ad orientarsi in un mondo che per certi aspetti sta perdendo la fede. Verrebbe da chiedersi se poi questa fede la si stia realmente perdendo, oppure se non stia anch’essa trasformandosi, senza avere più le pretese di carattere universale o tale da legittimarsi autonomamente; ma che in realtà cerca di ritrovarsi a partire dalla radicalità, dal suo cuore pulsante che è il Vangelo e che in ultimo è Gesù, una persona, che a breve lo celebreremo nell’Incarnazione. Forse è proprio questa la fede che dovremmo riscoprire, l’importanza di tornare alla persona, alla sua dignità e al suo benessere. Nella notte di Natale, ogni anno, si vive forse uno dei più grandi misteri che si fa realtà: il Dio che si pensa lontano e irraggiungibile, si è fatto carne, è venuto ad abitare questa terra e questo nostro fragile corpo. Se questo piccolo gregge di uomini che sembra essere rimasto ripartisse da qui, non si avrebbe più timore di cercare mille soluzioni avanguardiste per ripopolarsi perché, almeno credo, avrebbe come suo faro e suo orizzonte l’uomo, l’umanità stessa, non quella ideale ma quella fatta di gioie e dolori, come d’altronde lo stesso Concilio Vaticano II ci ricorda nel proemio di Gaudium et Spes.
Ma a questo punto ci potremmo chiedere cosa resta dell’uomo di oggi, cosa resta della nostra società, dell’Europa che il prossimo anno sarà chiamata a rinnovare il proprio assetto politico. Cosa resta della nostra Italia che in questi ultimi mesi è stata martoriata da innumerevoli femminicidi, come la morte di Giulia e dall’inizio dell’anno 109 donne sono state vittime di violenza, numeri che anno dopo anno continuano a crescere. Se spostiamo la nostra attenzione, come non ricordare le innumerevoli crisi idrogeologiche avvenute in Emilia Romagna ed in Toscana, che hanno causato danni a moltissimi Comuni, stimando per entrambe le regioni danni che superano i 10 miliardi di Euro; oppure le incertezze economiche e lavorative che stanno riguardando il nostro bel paese. Secondo il rapporto SVIMEZ che analizza l’economia e la società del Mezzogiorno a confronto con le altre regioni italiane e dell’Europa, pubblicato il 5 dicembre scorso, dal 2019 al 2023, pur aumentando l’occupazione sta aumentando al tempo stesso la soglia della povertà, considerando che 250.000 persone vivono in famiglie con povertà assoluta e sono 906.000 in totale le famiglie povere al Sud. Cosa resta invece della nostra Irpinia, della nostra città di Avellino, che da anni vive un forte spopolamento in particolar modo di giovani per mancanza di risorse e servizi idonei per il loro sviluppo e la loro felicità, secondo alcuni studi la nostra Provincia perde quasi 2.000 persone ogni anno, con un tasso di disoccupazione pari al 27%. La nostra terra che è stata crocevia di popoli e culture portatrici di arte e di bellezza attualmente, sembra essere più un museo di ciò che è stato, che non un fuoco ardente di innovazione e di pensiero. Ovviamente in queste brevi considerazioni, e in questa sede, non è possibile pretendere di risolvere i problemi elencati, ma una cosa credo sia certa, oggi più che mai come persone e come cittadini, abbiamo il dovere di riflettere su tutto ciò, il dovere di farci carico per quanto possibile di queste situazioni e illuminarle sapientemente, cercando di proporre non tanto soluzioni perfette, quanto avviare dei sani spazi di considerazione, di dialogo e sperimentazione per innescare dei processi vitali e fruttuosi. Una soluzione a cui anche il Papa Francesco invita a riflettere, sta nel pensare ed agire in maniere «GloCale» (Agire locale e Pensare globale), i cittadini infatti dovrebbero imparare a vivere uniti rispettandosi diversi nella mente e nel modo di pensare; mentre agiscono a livello locale affrontando i problemi del loro territorio, dovrebbero nutrire e aspirare ad un senso di globalità. Le nostre economie, il nostro modo di pensare spesso, tiene conto più dei profitti e prescinde invece da una governance equa e solidale; non si considera che dietro progetti e processi, ad essere in questione sono la vita di tante persone che chiedono risposte per il loro futuro, nutrendo desideri per i propri figli. A tal proposito sempre Gaudium et Spes resta un faro per la Chiesa e per tutti gli uomini credenti o meno, ricorda infatti che lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell’uomo, e non si deve abbandonare all’arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune più potenti nazioni. Conviene al contrario, che il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo orientamento.
Come dicevo all’inizio, il Natale ci ricorda l’importanza di tornare all’umanità, all’uomo di oggi che è strattonato da tante difficoltà, non da ultimo dalla guerra che si sta svolgendo sia nell’est Europa che in Medio Oriente, ma alle tante guerre in Africa, in Sud America dove sistemi più o meno democratici stanno vacillando costringendo popoli a migrare verso terre migliori. Le guerre non sono poi così lontane da noi, se pensassimo per un attimo alle tante famiglie in cui padri e madri si stanno separando, oppure a tanti figli, ragazzi e ragazze, che per incomprensioni si sono allontanati da casa, o il dolore di genitori che nel corso di quest’anno hanno perso proprio uno dei loro figli; lo stesso dolore che si respira negli ospedali in cui morte e vita continuamente si combattono, tra una vita che si consuma per un tumore e il grido di una madre che sta per mettere alla luce suo figlio.
Nella notte di Natale, mentre in tanti si ritroveranno dinanzi ad una tavola imbandita, quanti saranno invece coloro che si ritroveranno soli o persi in qualche angolo delle nostre, della nostra città? Proprio in questa notte si fanno avanti i più diversi sentimenti: tra le fantasie e i dolci ricordi di quando si era bambini al presente in cui tra la gioia del momento, qualche lacrima o rimpianto per ciò che è stato adombrano la sera; in molti avranno il desiderio di deporre un «bambino» nella mangiatoia, nella culla del loro cuore. Il desiderio di essere visitati anche questo Natale, di essere abbagliati da una Luce che non conosca tramonto, di essere amati e amando sentirsi vivi, di sperare che anche nella notte più buia e fredda il mondo possa cambiare, che l’eterno nemico fatto di odio e pregiudizi per l’altro possa tendere la mano a chi è stato ferito, anche al suo rivale; il desiderio che i capi delle nazioni si sentano rivestiti di uno status donato dal popolo e non conquistato con la forza e possano spenderlo per il bene di tutti. Il desiderio di chi è solo, chi non ha più una casa, chi si sente escluso e abbandonato, chi si è rassegnato per la propria vita, per chi aspetta un lavoro dignitoso e per chi in questo Natale lo ha perso; il desiderio di chi della propria vita ha smarrito sé stesso, chi è in carcere e vorrebbe riabbracciare la propria famiglia.
“Mezzanotte, o cristiani, è l’ora solenne nella quale Dio discese sino a noi, il mondo intero trasalisce di speranza, i popoli aspettano la Tua liberazione” così recita la poesia musicata da Adolph Adam per la messa di mezzanotte del 24 dicembre del 1847 nella piccola chiesa di Roquemaure. Nel buio di questa notte, il mondo trasalisce di speranza, ognuno di noi attende il suo liberatore, ognuno di noi attende qualcuno che ci salvi, che ci ami; i popoli del mondo, dall’Oriente all’Occidente attendono il loro Liberatore. Ma chi è questo Liberatore? Si potrebbero dare infinite risposte, ma la vera liberazione non sarà, non è utopia, se ogni persona si farà carico dei bisogni, delle necessità di chi gli è accanto, se logiche umane e di pace saranno l’orizzonte d’azione di tutti. L’attesa giungerà a compimento, saremo finalmente visitati, sarà davvero Natale, se ciascuno saprà farsi piccolo come il bambino nella stalla di Betlemme e se d’altronde ognuno illuminato dalla luce vera delle genti, porterà al mondo l’annuncio di speranza: “È nato per noi un Salvatore, pace in terra agli uomini amati dal Signore”!!!
Mario Cucciniello