Valle Ufita – Una vicenda che, probabilmente, comincia a delinearsi. Ma che non convince, per niente, i sindacati. A far parte della nuova Industria Italiana Autobus potrebbe essere, almeno così sembra, la Seri Industrial dei fratelli casertani Civitillo insieme ai cinesi di China City Industrial Group. Il piano industriale proveniente da Terra di Lavoro, infatti, parla di “sinergie internazionali”. Senza, ovviamente, dire con chi. Ma tutto fa pensare ad una collaborazione con l’Oriente.
La posizione delle organizzazioni sindacali è stata, finora, unitaria: “I Civitillo non li vogliamo” hanno infatti ribadito insieme alle tute blu di Valle Ufita. I trascorsi irpini della Seri portano ad aziende fallite e operai non retribuiti. E, non ultimo, è stato sottolineato come l’azienda casertana avesse poca dimestichezza con la costruzione di autobus per il trasporto pubblico.
Ma non è tutto: “Al di là degli annunci provenienti dal Mimit – aggiunge Giuseppe Zaolino, segretario provinciale della Fismic – a noi interessa un confronto all’americana per discutere delle due proposte sostanziali” (l’altra è quella del gruppo Sira, Gruppioni e Stirpe). E chiarisce: “Quella dei Civitillo è, in pratica, una privatizzazione quasi totale con una percentuale simbolica, il due per cento, riservata ad Invitalia. E questo, a noi, non piace”. Mentre la manifestazione di interesse del supergruppo formato da Gruppioni, Stirpe, Benedetto e Marchesini sarebbe, per Zaolino, “industrialmente interessante”.
“E non solo perché produce già autobus, di otto e dieci metri, per la Ferrari a Bologna (la Sit car, ndr)”. Il progetto di Sira prevederebbe inoltre “che lo Stato non può abbandonare IIA, Invitalia deve restare con una percentuale importante. La ripresa dello stabilimento non può prescindere da questa prerogativa se si vuole garantire, anche attraverso il sistema bancario, quello che sarà il percorso di rilancio”. Il sindacalista, quindi, si sofferma sulla possibilità di una sinergia casertana-cinese: “Se si dovessero imparentare, a livello societario il rischio che corriamo è quello che, il denaro pubblico, possa prendere la via dell’Oriente. Sarebbe la morte del made in Italy, rievocato da Urso e Meloni”.
In questo modo, perciò, “invece di esportare noi in Cina, accadrebbe tutto il contrario”. E se IIA diventasse questa, “dove sta la coerenza politica del governo? Il made in Italy lo garantiscono Gruppioni e soci, in simbiosi con i lavoratori ed il sindacato. Per questo – conclude il segretario provinciale della Fismic – chiediamo ancora chiarezza e la necessità che si faccia. Altrimenti lo scontro sarà inevitabile”.