di Franco Fiordellisi
C’è una verità che l’Italia non può più permettersi di occultare: il Mezzogiorno non è in ritardo, è tenuto in ritardo.
Lo dimostrano i dati più recenti sul PNRR: il 44% delle risorse è stato speso, ma dove le strutture amministrative sono forti, dove la burocrazia è dotata di tecnici, dove il mercato privato è solido. Nel Sud — nelle aree interne della Campania, nell’Irpinia, nel Sannio, nel Cilento, nell’Alta Murgia, nell’osso appenninico — la spesa non avanza perché non c’è supporto, non perché manchino volontà o idee.
Questa è la prima menzogna da smascherare: la narrazione del Sud incapace è il più comodo alibi del Nord saturo. Il PNRR doveva essere il grande egualizzatore. È diventato l’ennesimo moltiplicatore di disparità: dove l’alta velocità passa, arrivano investimenti e cantieri; dove manca perfino un ufficio tecnico, arrivano solo circolari, scadenze e colpe.
Chi ha di più ottiene ancora di più. Chi è stato tagliato fuori resta tagliato fuori.
Questo è un tradimento istituzionale.
Voglio essere chiari: il divario non è geografico, è politico. Il PNRR ha scelto la semplificazione procedurale senza la democratizzazione della capacità amministrativa. Ha promosso regole, ma non ha costruito gli strumenti per applicarle dove servivano.
Non esiste “emergenza Sud”. Esiste emergenza Stato: uno Stato che si ritrae proprio dove dovrebbe esserci di più, che considera l’accompagnamento ai piccoli comuni un optional, che confonde autonomia con abbandono. Le aree interne campane sono un esempio brutale: culla dell’acqua, ma senz’acqua; culla di potenziali filiere green, ma senza infrastrutture; territorio di progetti PNRR, ma senza squadra per attuarli.
La domanda che pongo, da cittadino prima più che da dirigente sindacale, è semplice:
Com’è possibile parlare di “successo del PNRR” quando la parte del Paese più fragile resta senza esecuzione dei progetti? Questo non è un errore tecnico: è un orientamento politico.
Per questo, chi oggi scrive di PNRR senza parlare di giustizia territoriale fa disinformazione e, soprattutto, consolida l’ingiustizia che racconta. E allora, dico che dobbiamo smettere di accettare la retorica della lentezza meridionale. Il Sud non è lento: è stato rallentato da carenze strutturali, riforme incompiute, visioni centralistiche e dalla scelta consapevole di non sostenere chi non aveva mezzi. Il vero tema non è “quanto abbiamo speso”, ma dove, per chi e con quali effetti sul Paese reale. Ogni comune che non riesce a spendere è una scuola che non si apre, un ospedale che non si rafforza, una rete idrica che continua a perdere acqua, una comunità che si svuota.
Se il PNRR diventa l’ennesimo meccanismo estrattivo, dove il Sud alimenta spesa e ricchezza altrui senza benefici propri, allora non è solo un fallimento economico: è una rottura costituzionale.
Il Mezzogiorno non chiede comprensione. Chiede protagonismo, strumenti, un patto di dignità e di responsabilità nazionale. La sfida non è accelerare la spesa, ma riequilibrarla.
Finché questo non diventerà tema centrale del dibattito pubblico, chi governa potrà continuare a dire che “il Sud è rimasto indietro”, senza mai ammettere che è stato lasciato indietro.
E questo va detto con forza da tutti. Perché questa, che non è un’opinione, è il nostro vero “cancro” da curare.
Per questo l’interazione e la programmazione interregionale, tra il presidente della Regione Campania Roberto Fico e il Presidente della Regione Puglia De Caro, diventano importantissime per tutti i cittadini e lavoratori del Mezzogiorno, far cambiare verso alle politiche governative nazionali, ma anche un’azione coordinata nell’uso delle risorse europee, perequazione concreta. Questi gli auspici politico sociali per il 2026 e anni a seguire.



