di Riccardo d’Amore
ll Settecento , denominato secolo dei lumi, è unanimemente considerato come l’epoca fausta e propizia del razionalismo, del progresso , della modernità ; è infatti il tempo in cui l’uomo – abiurato finalmente l’abominevole e tetro oscurantismo medievale – fieramente cerca di svincolarsi dai ceppi odiosi e secolari dell’antico regime, acquistando nel contempo un’autentica maturità umana, civile e politica .
L’Enciclopedia, Il contratto social, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la cultura settecentesca orgogliosamente mostra il proprio valore e la propria eccellenza , decisamente innalzandosi al di sopra di inveterate e vacue credenze del passato, risolutamente negate ora in nome del radioso, vitale, irrinunciabile credo razionalistico, ormai affermatosi in tutti i campi dello scibile e soprattutto nell’ambito del discorso filosofico-politico. Infatti la Rivoluzione Francese del 1789, in tutti i suoi complessi risvolti di strenua lotta antitirannica, viene concordemente considerata un’eroica filiazione storico-pragmatica del convinto e coerente egualitarismo illuministico , concepito in primo luogo come netta negazione intellettuale della monarchia assoluta , risalente ai secoli remoti e ormai inaccettabile , poiché fondata su principi fideistici e trascendenti del tutto estranei ed alieni alla riflessione culturale settecentesca .
In Italia, Paese tradizionalmente dominato da vetuste e tenaci attitudini arcaicizzanti , l’assolutismo monarchico – sia pure in alcuni casi attenuato dall’apertura moderata e prudente alle novità ideologiche dei lumi transalpini – lungamente sopravvive, assumendo in alcuni stati e in particolare nel Piemonte sabaudo , aspetti , modalità e forme di forte conservatorismo reazionario . Appunto in Piemonte, ad Asti, nacque nel 1749 Vittorio Alfieri, poeta illustre e sommo, strenuamente, incessantemente impegnato nell’impavido e acerrimo scontro con l’aborrito dispotismo politico di autocrati e sovrani, da lui immancabilmente giudicati come esseri mostruosi, immondi, disumani. Certamente, quando si parla della produzione alfieriana, il tema principale, imprescindibile centrale è innegabilmente quello dell’inviolabile libertà individuale, scaturita dalla riflessione dei filosofi francesi e antagonisticamente contrapposta all’arrogante, altezzoso, tracotante arbitrio del despota, capace addirittura di godere intensamente e odiosamente dell’altrui sofferenza . Ma, come spesso accade con i grandi autori letterari, le tematiche dialetticamente connesse al summenzionato concetto principale sono varie, interessanti e in certa misura discordanti .
La prima di esse è incontestabilmente il classicismo senza dubbio concepito come immancabile fattore primario, incessantemente sotteso all’elaborazione tragica, la quale appunto nel vasto ed erudito repertorio della classicità antica ampiamente attinge spunti, immagini, motivi, ma anche moduli, locuzioni e stilemi di nobile e altera fisionomia retorica. Infatti nella quasi totalità delle creazioni tragiche del Nostro tutti o comunque molti degli aspetti salienti coerentemente rientrano nell’alveo dell’antichità greco-latina , personaggi, vicende, ambientazioni, non senza significativa e avvertibile discrasia rispetto agli intenti tipicamente divulgativi e per così dire, democratici della grande cultura illuministica . E ciò indirettamente dimostra la natura complessa e variegata dell’approccio creativo alfieriano .
Del resto la stessa istanza individualistica, peculiare e onnipresente nei versi dell’immortale Astigiano , si configura anch’essa come intrinseca e accentuata divergenza timbrico- ispirativa rispetto ai suddetti intenti moderni e settecenteschi; tali intenti erano infatti volti alla formulazione di un importante e denso messaggio culturale , destinato non più ai tradizionali ed elitari ambienti umanistici – dediti appunto all’inveterato credo individualistico -ma al contrario ad un pubblico ampio, eterogeneo e medio-borghese, in cui la dimensione del singolo individuo tendeva ormai a svanire, lasciando il posto ad un vasto e articolato progetto di cultura collettiva, condivisa e popolare. In altri termini e semplificando al massimo, se da un lato in Alfieri è inconfutabilmente primario e fondamentale il discorso libertario e antidispotico , certamente riconducibile ai lumi del razionalismo d’oltralpe ; dall’altro lato in lui è altrettanto vero che il culto irrinunciabile ed erudito del mondo antico e contemporaneamente l’individualismo orgoglioso e aristocratico si presentano entrambi come fattori in certa misura abnormi e divergenti rispetto ai nuovi dettami filosofici dell’egualitarismo intellettuale, promosso , teorizzato e propagandato dai grandi pensatori del XVIII secolo .
Un esempio indimenticabile e atroce di tirannide, rappresentata con orrore e raccapriccio dal Nostro è quello del Filippo, in cui l’intreccio, agghiacciante e disumano, si caratterizza per la perfida volontà luciferina con cui Filippo II di Spagna spietatamente cerca di indurre al suicidio il figlio don Carlo, sospettato di temibili trame sovversive . In tale opera l’efferato tiranno, dopo aver follemente conseguito il diabolico risultato ( oltre a don Carlo , si suicida anche Isabella, moglie di Filippo II, ma segretamente invaghita di Carlo), rivolge a se stesso parole terribili e intrise di allucinante squallore: “ Scorre il sangue ( e di qual sangue ! ) un rio … / Ecco, piena vendetta orrida ottengo ; … / ma , felice son io ?….”.
Dunque per un breve istante il cuore glaciale e impietrito del mostruoso despota umanamente vibra , accogliendo in sé un timido moto affettivo , un tenue senso doloroso in certa misura analogo al normale sentimento che un padre proverebbe per un figlio suicida E’ un attimo e in seguito Filippo tornerà senza indugio ai suoi consueti pensieri di prepotenza e nefandezza ; ma in quell’attimo , persino in un animo abietto e sordidamente incallito nel male , fiocamente si accende e flebilmente riluce un’autentica emozione interiore, vagamente riconducibile all’affettuoso calore di un padre . Ecco pertanto un altro significativo elemento, degno certamente anch’esso di nota e rilievo: nell’Alfieri , considerato infatti un protoromantico , i moti affettivi , gli stati d’animo , le passioni – umane e politiche – svolgono un ruolo di suprema importanza ; infatti anche un orribile mostro ripugnante come Filippo II riesce – sia pure fuggevolmente – a provare nel suo petto rozzo e miserabile la sacra e sublime scintilla del vivido afflato paterno. Assai più ricca e complessa la figura tirannica del re Saul, nel cui insondabile ego profondo ibridamente albergano due irrefrenabili , incessanti , antitetici impulsi vitali : da un lato l’odio implacabile , perfido e dispotico contro chiunque si opponga al suo spietato assolutismo ; dall’altro – paradossalmente – l’insopprimibile esigenza morale di riconquistare finalmente un minimo , ma fervido e vibrante residuo di umanità autentica , dolorosa ed eroica . Potremmo dire , in termini di stringata sintesi , che in Saul dialetticamente coesistono il male e il bene , il tiranno e l’eroe , la dannazione e la redenzione ; ma alla fine egli – irrimediabilmente sconfitto dall’acerrimo nemico filisteo – decide , con titanico eroismo morale , di togliersi la vita , affermando in tal modo – non senza ferrea determinazione – la propria alta , inviolabile , adamantina libertà spirituale .
Nel tragico e irreversibile suggello della morte , l’ultima volontà del re sconfitto decisamente s’innalza al di sopra di tutto e di tutti , e – rinnegate risolutamente le squallide perfidie passate – titanicamente assurge a negazione estrema del male ed a celebrazione solenne dell’atto suicida , inteso come culminante e suprema manifestazione dell’irrinunciabile , urgente , sacro bisogno di libertà esistenziale . Nel nostro autore inoltre l’affannosa e incessante ricerca di piena indipendenza libertaria artisticamente oltrepassa il vasto e vario versante dei temi ed estesamente si propaga a quello delle forme , dei moduli stilistici , delle opzioni espressive , con risultati assai notevoli soprattutto nel senso dell’inscindibile connubio letterario tra contenuti e formulazioni linguistiche. Ovviamente , data l’epica tragicità del discorso , l’uso di un registro espressivo melodioso , canoro e arcadico avrebbe certamente determinato un’accentuata e antiestetica discrasia timbrica rispetto all’austera fierezza eroica , intrinsecamente estranea a qualsiasi stucchevole gaiezza melica . Onde evitare siffatto contrasto la scelta artistica del Nostro cade su uno stile franto , disarmonico, scabro e duro, che abiura e rinnega le leziose armonie metastasiane e nel contempo si configura come sapiente e coerente rispecchiamento formale dei grandi valori morali, che – posti a fondamento del discorso alfieriano – vengono corroborati, infatti, potenziati ed esaltati appunto dall’angolosa, aspra, incondita durezza degli alti accenti tragici. Valgano come esempio le parole dense e indimenticabili del solenne monologo finale , pronunciato da Saul pochi istanti prima del suicidio : “ Oh figli miei! … – Fui padre . – / Eccoti solo , o re ; non un ti resta / dei tanti amici, o servi tuoi . – Sei paga , / d’inesorabil Dio terribil ira ? – / Ma , tu mi resti , o brando : all’ultim’uopo , / fido ministro , or vieni . – Ecco già gli urli / dell’insolente vincitor : sul ciglio / già lor fiaccole ardenti balenarmi / veggo , e le spade a mille … – Empia Filiste , / me troverai , ma almen da re , qui … morto . “ . La dolorosa esclamazione iniziale è come aspramente , bruscamente interrotta da un forte iato linguistico-recitativo , che , scavando a fondo nell’animo del sovrano , si traduce poi nel triste , tetro lamento paterno per la morte dei figli . Segue , dopo altra pausa prolungata e silente , il verso che con voci dure , nette e succinte esprime l’idea dell’atra solitudine fatale , sempre ineluttabilmente legata alla sconfitta in battaglia ; ancora una volta il ritmo timbricamente risuona lento, pensoso, echeggiante , innegabilmente lontanissimo dai metri cantabili e a tratti cantilenanti dell’Arcadia melodrammatica .
Quindi si giunge al motto con cui Saul , fieramente sdegnato per l’avversa sorte bellica , risentitamente rivolge la parola all’Essere divino ; la formula espressiva , anche in questo caso , è strutturata in modo decisamente abnorme e dissonante per la forte tmesi metrico-retorica tra la locuzione iniziale “ Sei paga “ e il vocativo “ terribil ira “ . Abbiamo poi la personificazione del brando , a cui il protagonista fervidamente volge gli accenti , per ottenere da esso la morte e in tal modo l’agognata vittoria spirituale – pur nella disfatta militare – su qualsiasi nemico , anche il più temibile e agguerrito ; l’andamento stilistico , così come nei precedenti endecasillabi , è sempre austeramente elaborato con tratti di severa essenzialità poetica ; assai interessante risulta l’invocazione “ o brando “ , la quale – al centro del verso – crea un’accentuata cesura ritmica nel flusso dell’enunciato , suscitando nel contempo l’immagine cruenta e drammatica dell’imminente suicidio . Infine il pensiero di Saul va “all’insolente vincitor “ : nell’ultimo distico il re, mostrando indicibile disprezzo per il nemico filisteo, coraggiosamente accetta la grave sconfitta campale , ma contemporaneamente e solennemente afferma la propria altissima e inviolabile libertà interiore , che – raggiunta con la morte – definitivamente lo svincola dall’intollerabile onta dell’insuccesso e del disonore
Negli alti accenti alfieriani il grande Saul, odioso tiranno spietato, crudelmente e ostinatamente si accanisce nelle sue triste e dispotiche perfidie; ma, duramente e fatalmente colpito dalla sventura, finalmente rinsavisce e catarticamente recupera la dignità, la coscienza, la statura interiore , non senza tuttavia il doloroso e ossessivo rimorso del male annosamente compiuto . Oggi dunque, in tempi di atroce e sanguinosa violenza, i potenti, i dominatori, i tiranni dei nostri giorni non attendano – come Saul – l’ultimo istante per pentirsi e redimersi; la vera grandezza – come ci dice Alfieri – non è il potere, non è l’impero , non è la forza ma è invece la nobile, illibata, perfetta libertà morale, doverosamente propensa al bene, alla solidarietà, alla fraternità umana : noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas .



