Alla vigilia dei ballottaggi per la scelta dei sindaci delle principali città italiane – Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna – è normale che l’attenzione dei lettori si concentri su questi appuntamenti, che indubbiamente hanno una loro rilevanza, dovuta al fatto che i primi cittadini neoeletti governeranno i rispettivi Comuni per i prossimi cinque anni, grazie alla legge che attribuisce loro poteri rilevanti e ne rende estremamente difficile la sostituzione prima della scadenza del mandato. E tuttavia la coincidenza con appuntamenti europei e internazionali di non minore importanza suggerisce di allargare lo sguardo oltre i nostri confini, se non altro per esaminare il contesto entro il quale i sindaci delle grandi città italiane si troveranno a governare le rispettive comunità. Il panorama che si apre è decisamente preoccupante, e non solo per il destino delle forze politiche e dei loro capi che si presentano agli elettori e ne chiedono il voto in Italia, Gran Bretagna, Spagna o anche negli Stati Uniti (e fra un anno in Francia e in Germania), quanto per la qualità, lo stile, i toni, il contenuto, la violenza delle contrapposizioni che si manifesta in una vigilia elettorale particolarmente accesa. La crisi economica di questi anni, non padroneggiata dai governi e dalle istituzioni finanziarie internazionali, ha desertificato il terreno comune sul quale si esercitava il confronto democratico; ne risulta non più una dialettica fra interessi e posizioni divergenti, eventualmente componibili in un progetto di governo nazionale e sovranazionale sostenuto dal consenso popolare, ma una lotta all’ultimo sangue tra fazioni irriducibilmente avversarie, decise a delegittimare le altrui ragioni se non ad annichilire anche fisicamente chi se ne fa portatore. Il brutale assassinio di una deputata laburista in Gran Bretagna, in piena campagna referendaria per la permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea, è il sintomo di un degrado del costume democratico in Europa. Per comprendere la gravità di quanto è successo in un anonimo centro della provincia britannica, bisogna sapere che un episodio del genere non accadeva da almeno vent’anni, e che è rarissimo in Inghilterra che un esponente politico sia tutelato da una scorta o da guardie del corpo, perché un rappresentante del popolo, a prescindere dal partito per il quale è stato eletto, merita ed ha il rispetto e la protezione di tutti. Questa nobile tradizione è stata brutalmente spezzata, probabilmente da un folle che però ha tratto alimento per il suo gesto dissacratore dal clima di estrema contrapposizione nel quale si stanno susseguendo gli ultimi giorni della campagna per il “leave” o il “remain”. Non diversa è la situazione al di là della Manica, dove ogni occasione – una partita di calcio ma anche un disegno di legge del governo – è buona per scatenare furibonde risse nella strade di Parigi e delle altre città nelle quali si svolgano le partite del torneo europeo. Ormai i confini tra il tifo calcistico e la dialettica politica sono stati ampiamente superati, e la violenza fisica e verbale dilaga nelle tribune degli stadi, nelle piazze e nei parlamenti. In Francia come in altri paesi europei (Italia compresa) la violenza è esercitata da piccoli gruppi che però riescono ad impadronirsi della piazza e a dettare la loro legge. E se torniamo in Italia, dove per fortuna il sangue non si è visto ma è stato spesso evocato, colpisce la dismisura fra la posta in palio nei ballottaggi di domenica e il clima da ultima spiaggia di queste ore. Diamo pure per scontato, come avvertono i sondaggi, peraltro non autorizzati, che a Roma, Napoli e in altre città prevalgano candidati di coalizioni ostili al governo: ebbene, non per questo il cambio alla guida di uno o più municipi dovrebbe aprire una crisi parlamentare. Anzi, se questa si producesse, dati i tempi biblici della politica italiana, l’unico risultato sarebbe quello di azzoppare la presenza dell’Italia nel proscenio europeo nel quale si discuteranno gli equilibri da ristabilire dopo il voto sulla Brexit, qualunque ne sia l’esito. Conviene allora caricare un limitato voto amministrativo di un significato politico generale se non addirittura di una valenza palingenetica che certamente non gli compete? Ognuno può riflettere su queste e altre considerazioni, ma certamente descrivere il nostro Paese, o i Comuni italiani, come se fossero sempre attestati sull’ultima spiaggia non fa bene ai destini comuni.
edito dal Quotidiano del Sud