Gianni Festa
C’è qualcosa di profondamente giusto e, nel contempo anche ingiusto, nella rivolta dei cosiddetti trattori che in queste ore imperversa in Italia e in Europa. Nella rivendicazione degli agricoltori si coglie un lungo tempo di abbandono della condizione dei contadini. Insieme ad una sottovalutazione del loro ruolo, fondamentale nella complessa costruzione della filiera alimentare. Intanto la protesta di questi giorni richiama alla mente quello che accadde undici anni fa, il 9 dicembre del 2013, quando il mondo contadino scese in piazza per rivendicare i propri diritti, anche allora in modo autonomo, senza sigle di partiti e sindacati. La rivolta passò alla cronaca come il “movimento dei forconi”. Allora fu un fuoco di paglia organizzato da spezzoni della destra che durò quanto il tempo della neve che si scioglie sotto il sole. Furono quelli i primi segnali di un populismo che avrebbe poi nel tempo modificato molti dei comportamenti degli italiani. Stavolta la singolarità della protesta è nel fatto che quella destra che undici anni fa era all’opposizione oggi governa il Paese. Il che fa ritenere che la rivolta, rispetto al passato, ha una valenza politica diversa, se riferita ai possibili risultati che si andranno ad ottenere. Se è vero che il problema coinvolge, per la maggior parte, la politica agricola europea, con le sue restrizioni, è in Italia che esso ha origini antiche, con prese di posizione anche autorevoli registratesi nel tempo. Senza andare lontano sarebbe qui sufficiente ricordare le battaglie di Manlio Rossi Doria con il sostegno al maltrattato mondo contadino, oppure alla lotta politica del giovane sindaco di Tricarico, Rocco Scotellaro, che con la sua “Uva puttanella” denunciò in modo fermo e deciso lo sfruttamento dei contadini nelle campagne del Mezzogiorno. Molte, d’altra parte, le pagine nobili scritte in favore del mondo rurale, sia con le lotte contadine per la conquista della terra, sia con il tentativo politico di organizzare una forza politica, come auspicato da Guido Dorso negli anni trenta. Oltre a ciò è utile qui registrare una monumentale opera di Nuto Revelli che con “il Mondo dei vinti” denunciò “l’incapacità di ordinare in modo civile trasformazioni epocali che hanno assunto dimensioni drammatiche, dal Veneto alla Calabria”. La ricostruzione storica, solo in parte qui descritta, è oggi utile, a mio avviso, per ricollegarsi a quanto sta accadendo con la rivolta dei trattori che mantiene alta l’attenzione della società civile e politica. E ora che accadrà? Lo scenario, mentre la protesta avanza e si registrano le prime spaccature tra chi si mostra dialogante con il governo e chi, invece, assume la posizione di intransigenza, è ancora incerto. E’ molto probabile che la vicenda troverà prime risposte da parte del governo di destra, in cui il dibattito ha già creato leggere crepe tra Meloni e Salvini, mentre le opposizioni incalzano con le denunce e le proteste. Dimenticando che proprio la sinistra, da Gramsci e Sereni, e a tanti altri autorevoli esponenti della lotta per la dignità dei contadini, aveva speso uno straordinario impegno, oggi purtroppo oggettivamente latitante. Ora. con la campagna elettorale per le Europee, è anche il momento opportuno per avanzare delle richieste. Di far sentire la propria voce. Che, si badi bene, non è solo dei contadini, ma anche di chi vende e aggiusta trattori. Una vertenza nella vertenza, con una problematica diversa e con pretese diverse. Anche su questo bisognerebbe riflettere. Per essere realisti è probabile che alcune concessioni, oltre quelle già fatte, troveranno spazio nella vertenza, ma il fuoco tornerà a covare sotto la cenere. Ieri i forconi, oggi i trattori e domani, con il cambio generazionale nelle campagne, è probabile che una svolta culturale modificherà anche il modello di lotta per ridare dignità a chi vuole riscattare il mondo dei vinti.