Il professore Romano Pesavento, presidente del Cnddu, fa sapere che “in occasione della Giornata internazionale dei Diritti Umani, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani richiama l’attenzione del Paese su una realtà che non può più essere ignorata: in Italia i diritti umani non vengono negati apertamente, ma progressivamente indeboliti nella vita quotidiana delle persone”.
“Oggi la povertà non ha un’unica forma riconoscibile. E’ economica, abitativa, sanitaria, educativa, digitale. E’ una povertà diffusa, stratificata, spesso invisibile, che restringe le possibilità e svuota i diritti della loro sostanza. Quando l’accesso ai diritti fondamentali dipende dal reddito, dalla competenza tecnologica o dalla possibilità di emigrare, quei diritti smettono di essere universali. I dati presentati dalla Comunità di Sant’Egidio parlano con forza: quasi sei milioni di persone in povertà assoluta, oltre un milione di minori, famiglie soffocate dall’aumento degli affitti, sfratti per morosità che tornano a colpire anche i bambini. Migliaia di alloggi popolari restano inutilizzati mentre cresce il disagio abitativo. La povertà non è una statistica: è un volto, una storia, una relazione che si spezza. A questa frattura si aggiunge una solitudine sempre più diffusa, che impoverisce tanto quanto la mancanza di reddito”.
“Sempre più drammatica appare la povertà sanitaria. Nel 2024 oltre mezzo milione di persone non ha potuto permettersi farmaci e cure non coperte dal Servizio sanitario nazionale. Tra queste, quasi 146.000 sono minori. Sempre più cittadini rinunciano a visite ed esami per motivi economici o per liste d’attesa incompatibili con il diritto alla salute. Curarsi non dovrebbe mai essere una scelta tra bisogni, né tantomeno un privilegio”.
“Accanto alla povertà materiale cresce una povertà meno visibile ma sempre più determinante: la povertà digitale. Viviamo in una società in cui il digitale è diventato infrastruttura dei diritti. Senza competenze digitali oggi si resta esclusi dall’accesso alla sanità, al welfare, alla scuola, al lavoro, alla partecipazione democratica. La povertà digitale non riguarda solo l’assenza di dispositivi, ma la mancanza di accompagnamento, alfabetizzazione critica, fiducia e consapevolezza nell’uso delle tecnologie. Colpisce famiglie fragili, minori, anziani, persone con background migratorio, ma anche operatori sociali ed educativi che non sempre sono messi nelle condizioni di affrontare la trasformazione digitale. Trasformare il digitale da barriera a strumento di inclusione è oggi una sfida cruciale per la tenuta dei diritti umani”.
“In questo quadro già fragile si inserisce una ferita che riguarda il futuro del Paese: l’emigrazione giovanile. Dal 2011 oltre 630.000 giovani hanno lasciato l’Italia. Oggi chi parte è più numeroso di chi nasce. Più del 40% degli emigrati è laureato. Non è una semplice mobilità internazionale, ma una selezione al contrario che priva il Paese di energie, competenze e visioni. Dietro questa scelta non c’è solo attrazione per l’estero, ma salari insufficienti, precarietà cronica, costo della vita insostenibile, mancanza di meritocrazia e prospettive credibili”.
“Il diritto di partire è sancito. Ciò che sempre più spesso viene negato è il diritto di restare senza rinunciare alla dignità. Un Paese che non riesce a offrire ai suoi giovani lavoro dignitoso, autonomia e futuro non perde solo capitale umano: perde fiducia, coesione sociale, democrazia. Come docenti di Diritti Umani, incontriamo quotidianamente queste contraddizioni nelle scuole e nelle università. Vediamo studenti consapevoli, informati, sensibili alle grandi questioni globali, ma anche disillusi, costretti a immaginare il proprio futuro come un altrove. Educare ai diritti oggi significa dare strumenti per leggere la realtà, collegare le diverse forme di povertà, comprendere che i diritti non sono astrazioni giuridiche ma condizioni concrete di vita”.
“E’ in questa prospettiva che il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rilancia la terza edizione dell’Albero dei Diritti Umani, già annunciata in un precedente comunicato. Un’iniziativa simbolica e pedagogica che invita scuole, studenti e docenti a riflettere sui diritti negati e su quelli da far crescere, trasformando le aule in spazi di consapevolezza, responsabilità e partecipazione attiva”.
“L’Albero dei Diritti Umani non è un gesto rituale, ma un percorso educativo: ogni diritto riconosciuto, discusso e condiviso diventa una radice; ogni riflessione critica un ramo; ogni azione di cittadinanza una foglia che guarda al futuro. In un tempo di diritti fragili, coltivare diritti significa prendersene cura insieme. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non chiede celebrazioni formali. Chiede coerenza. Chiede scelte capaci di tenere insieme giustizia sociale, salute, innovazione, inclusione e dignità del lavoro. Chiede che i diritti siano praticabili, non solo proclamati”.
“In questa Giornata internazionale dei Diritti Umani ribadiamo che una società non è più giusta perché parla di diritti, ma perché li rende reali. E oggi renderli reali significa non lasciare indietro i più fragili, non costringere i giovani ad andare via, non permettere che il digitale, la salute o la povertà decidano chi ha futuro e chi no”.



