La spericolata giravolta di Silvio Berlusconi, che a meno di 40 giorni dalle elezioni amministrative ha deciso di far ritirare il proprio candidato a Roma Guido Bertolaso, definito fino alla vigilia “il migliore sindaco per Roma”, per convergere sul “civico” Alfio Marchini, si presta a considerazioni che trascendono la posta in gioco, pur importante, trattandosi della capitale d’Italia. Il disegno perseguito è ben più vasto: riguarda la ristrutturazione del centro-destra italiano e la sua collocazione in Europa; un orizzonte talmente ampio da far dubitare che basti l’esito di una competizione amministrativa per considerare chiusa la partita, mentre ci troviamo probabilmente di fronte alla tappa intermedia di un percorso ad ostacoli iniziato con le elezioni del 2013 e destinato a concludersi con le prossime politiche, nel 2018 o forse anche prima. L’entrata in scena del Movimento 5 Stelle ha comportato la fine del bipolarismo italiano, insidiato da una forza dichiaratamente antisistema capace di coagulare tutti gli insoddisfatti della prima e della seconda repubblica. Subito dopo, la evidente (finora) incapacità dell’Europa di affrontare la crisi dei migranti e quella del debito ha dato voce ad un’altra forma di contestazione radicale del progetto comunitario, che si è già manifestata in elezioni nazionali, per ultimo alle presidenziali austriache, e rischia di produrre una insanabile frattura fra Nord e Sud Europa, con l’Italia ridotta, insieme alla Grecia, al ruolo di discarica sociale per conto di alcune fra le più ricche democrazie dell’Occidente, insidiate da un pericoloso ritorno di nazionalismo. Nella mutata geografia disegnata da questi due eventi si è inserito il braccio di ferro in corso nel centro-destra italiano per la guida di quest’area politica, che negli ultimi vent’anni si è alternata con i progressisti riuniti prima nell’Ulivo e poi nel Partito Democratico; ma è apparso subito chiaro che la scelta del leader della coalizione moderata non è indifferente rispetto ai contenuti politici del programma. Anche se l’alleanza fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, l’uno erede del regionalismo padano l’altra del centralismo postfascista, non dovrebbe essere destinata a durare, ciò che strumentalmente li accomuna appare allarmante perché si ricollega alle pulsioni antisistema già presenti nel nostro paese. I segnali di una saldatura fra le due convergenti forme di delegittimazione della governabilità di tipo “europeo” garantita finora in Italia dall’alternanza di coalizioni moderate o progressiste sono evidenti: non a caso Giorgia Meloni ha dichiarato che ad un eventuale ballottaggio a Roma avrebbe votato per la candidata dei Cinque Stelle; Salvini ha esultato per il successo dei nazionalisti austriaci, i grillini alimentano la deriva antieuro. Di fronte a questa ipotesi, Berlusconi ha colto un duplice rischio: perdere la guida della coalizione moderata e vederla orientata più verso la direzione dell’avventurismo “irresponsabile” dei Cinque Stelle che verso le forze che si riconoscono nel Partito popolare europeo. Ora, si potrà discutere sulla scelta del terreno di confronto imposto ai suoi alleati di ieri – le elezioni romane – ma appare evidente che denunciando le loro tentazioni lepeniste e indicando una strada diversa agli elettori della sua area politica, ha posto con decisione il tema dei contenuti oltre che della leadership di una parte consistente delle forze di opposizione. Berlusconi è convinto che la sua iniziativa può avere successo perché nella campagna elettorale romana si trova ad affrontare un Pd in evidente affanno; ed effettivamente l’insidia è pericolosa per il candidato sindaco progressista. E’ stato scritto che il punto di caduta del progetto berlusconiano sarà la pace con Alfano (che non a caso è stato tolto dal mirino dei giornali della destra), o addirittura un rinnovato patto del Nazareno con Matteo Renzi, come vorrebbe Pierferdinando Casini. E’ presto per dirlo, e a questo punto l’esito delle amministrative romane sarà determinante. Ma, poiché appunto la scommessa guarda oltre l’appunta – mento del 5 giugno, sarebbe opportuno che anche quella metà del campo che come il centro-destra a trazione berlusconiana è preoccupata dell’avanzata dei Cinque Stelle, si ponesse il problema della ristrutturazione (o meglio della stabilizzazione) del proprio terreno di gioco, facendo i conti anche con la fobia di quanti denunciano ad ogni piè sospinto inesistenti alleanze incestuose, laddove invece si tratta di rafforzare una posizione progressista ed organizzarla in vista di un confronto con i conservatori che non potrà non avere per posta in gioco la governabilità dell’Italia.
edito dal Quotidiano del Sud