Le campagne elettorali passano e i problemi restano. Sono passati oltre due mesi dalle elezioni e l’azione quotidiana del governo di Giorgia Meloni è molto diversa dagli slogan e dalle promesse fatte prima del voto del 25 settembre. Certo non si può affermare che c’è una continuità con l’esecutivo Draghi ma nemmeno un’enorme discontinuità. Ovviamente in questi primi mesi di navigazione c’è stata un’attenzione particolare delle cancelliere europee e dei mercati finanziari sul nostro Paese. Giorgia Meloni ha visto i principali leader mondiali provando a rassicurarli. Pur stando all’opposizione di Draghi non è stata lei a destabilizzare l’esecutivo.La crisi è nata e si è consumata tutta dentro la maggioranza di unità nazionale: il partito di Fratelli d’Italia ne è stato solo il beneficiario. La “luna di miele” con gli italiani, almeno stando ai sondaggi, prosegue e la spinta ottenuta dal voto del 25 settembre non si è fermata, anzi si è allargata ulteriormente la distanza con gli altri partiti. D’altronde, sull’altro versante, quello dell’opposizione, non c’è quasi nulla. Il Pd è alle prese con i suoi problemi interni e si attende il congresso per decidere chi sarà il suo nuovo leader e con quali alleati proseguire il suo cammino. Tutti vantaggi per l’attuale maggioranza che al momento ha le mani libere e deve guardarsi solo da possibili polemiche interne alla coalizione. Salvini e Berlusconi non possono per ora incrinare la stabilità del governo e la sua efficacia ma c’è più di una sensazione che dentro il centrodestra tra gli alleati continuino a serpeggiare logiche elettorali. Il leader della Lega batte sui tasti della campagna elettorale: ordine pubblico, immigrazione e misure economiche e tende a dare di tutti questi argomenti una sua lettura per trarne potenziali vantaggi. Il leader di Forza Italia ripropone con forza il classico tema del fisco, cioè delle tasse da abbassare, come orizzonte strategico della coalizione. Quando si governa però, le bandierine elettorali non possono essere una bussola, una fase va archiviata perché per stare al governo occorre misurarsi con la concretezza dei conti da tenere in equilibrio e con i vincoli europei da rispettare e non a caso Giorgia Meloni ripete che ogni provvedimento potrà essere presentato solo se ci sarà un’adeguata copertura finanziaria. A Palazzo Chigi, del resto, c’è la convinzione che questi sono solo i primi passi perché l’obiettivo è un governo di legislatura e dunque, se non immediatamente, c’è comunque tutto il tempo per realizzare le promesse elettorali, anche perché al momento è difficile immaginare un altro equilibrio diverso dall’attuale esecutivo e da questa maggioranza ed inoltre la difficile situazione economica e la guerra in corso obbliga tutti alla prudenza. Si avverte nitidamente la differenza tra i governi Berlusconi e quello della Meloni che non vuole solo occupare una metà campo della politica ma dispiegare un’identità di destra mortificata nella prima repubblica e che oggi ha l’occasione per una rivincita e per diventare egemone. “Si tratta – ha scritto Ezio Mauro – di qualcosa di inedito, nelle forme, nelle ambizioni e nella radicalità di una controcultura alternativa e concorrente. Avevamo già conosciuto destre padrone del campo. MaBerlusconidiffondeva un modello, non una cultura, si basava sulla prassi piuttosto che sulla teoria, la pervasività della sua predicazione era affidata a un palinsesto più che a un pensiero. Il Cavaliere operava con le sue televisioni una re-interpretazione del reale, distribuendola nella solitudine repubblicana del tinello italiano. Meloni incarna un iper-realismo di destra, accentuando l’alterità di Fratelli d’Italia e del suo governo, e soprattutto sottolineando l’irregolarità della sua storia d’origine, come garanzia di differenza e di non omologazione al sistema, sul modello populista di Trump”.
di Andrea Covotta