Di Mino Mastromarino
Tutti i giorni subiamo la coazione a innovare, a cambiare. Confindustria, i politici, i media indicano, quali uniche garanzie di futuro, le tecnologie all’avanguardia e le cosiddette start-up. La pubblica amministrazione (giustizia, scuola, sanità) non funziona? La causa è – di sicuro – la scarsa digitalizzazione. Ma l’innovazione irrelata è un guscio vuoto, come la comunicazione. Innovare, di per sé, non significa niente. L’innovazione dovrebbe corrispondere all’applicazione pratica degli esiti di un autentico processo creativo. Invece, si risolve nel prosaico espediente commerciale di inondare il mondo di dispositivi tecnologici, ( purtroppo) non sempre nuovi.
Nella mera sostituzione di un computer o di un programma elettronico, truffaldinamente propinata come promessa di miglioramento. Non c’è vero progresso senza idee virginali. Senza rotture radicali, senza traumi. E’ da poco uscito un libro coraggioso e irriverente, dedicato al <segreto dell’innovazione>, dal sottotitolo ancora più illuminante: crescita e sviluppo lontano dall’hightech. L’autore Dan Breznitz – uno dei massimi esperti mondiali in politiche per l’innovazione – vi sostiene che il modello high-tech ha prodotto benefici per pochi, mentre numerose città e regioni hanno dilapidato risorse immense nel tentativo fallimentare di replicarlo. E che esiste un’alternativa plausibile, dotata di efficacia rigenerativa, in virtù della quale ogni comunità può giocare un ruolo nell’innovazione, muovendo dalla consapevolezza del proprio posto nella catena globale del valore e lavorando su ciò che la rende unica. E’ un testo volto ad ammonire gli amministratori locali e tutti i cittadini contro il rischio del pensiero unico dell’innovazione coatta, ed a spingerli ad azioni produttive di nuove forme di località.