Ogni estate, puntuale come un rito stanco, migliaia di docenti precari vivono gli stessi giorni di sospensione e incertezza. Non una sospensione feconda, che prepara al nuovo anno scolastico, ma un’attesa angosciosa, fatta di controlli quotidiani sulle piattaforme, di graduatorie ballerine, di algoritmi che decidono dove e se lavorerai.
Fino all’ultimo, spesso fino ai primi giorni di settembre, gli insegnanti non sanno se avranno una cattedra, dove saranno destinati, quale sarà il loro orario. Non possono organizzarsi, non possono programmare una vita: un affitto, un viaggio, perfino la semplice gestione familiare. Da un giorno all’altro possono essere chiamati a decine o centinaia di chilometri di distanza, o peggio, scavalcati da un algoritmo che li “salta” senza spiegazioni.
La precarietà scolastica non è soltanto una questione di contratti a tempo: è una condizione esistenziale di incertezza continua. Si chiedono flessibilità, passione e dedizione, ma non si concede la dignità minima di una programmazione anticipata.
In un Paese civile, sarebbe doveroso pubblicare il bollettino delle assegnazioni almeno nei primi giorni dell’ultima settimana di agosto. Non è una richiesta di privilegio, ma di rispetto. Il diritto alla scuola degli studenti passa anche dalla serenità e dalla stabilità di chi li accompagna ogni giorno in classe.
Continuare a trattare gli insegnanti come pedine intercambiabili, invisibili fino al momento della convocazione, significa svuotare di valore la stessa scuola pubblica. Restituire dignità ai docenti precari è il primo passo per restituirla all’istruzione.