di Virgilio Iandiorio
Piuttosto che leggere in vacanza l’ultimo romanzo vincitore di un premio, quale che sia, o le poesie del cantambanco di turno, sono andato a rileggere il De Magistro di Sant’Agostino, non perché dovessi relazionare al colloquio dell’esame di Stato, ma per avere delle indicazioni sui problemi dei nostri giorni.
Il dialogo di Sant’Agostino con il figlio sedicenne, Adeodato, sembra proprio quello di un professore con un suo alunno. L’alunno colloquia con il suo professore. Ad un certo punto il Magister rivolgendosi al suo Discipulus dice:” Penso che il termine coenum (sozzura), in quanto nome, è assai più nobile della cosa che significa. Il fatto che nell’udirlo ci nausea non deriva dalla parola anche perché coenum, in quanto nome, mutata una sola lettera, diventa coelum (cielo). Ma noi sappiamo la distanza che esiste fra gli oggetti significati da questi nomi. Pertanto non attribuirei in alcun modo al segno ciò che si detesta nell’oggetto significato e quindi giustamente lo valuto di più dell’oggetto stesso. Difatti volentieri lo percepiamo con l’udito, ma non con qualsiasi altro senso”.
Come non pensare a tutti quei nomi, che di per sé sono sufficienti a gettare addosso ai nemici, agli avversari, ai malcapitati tutte le sozzure di questo mondo. Ricordo uno spot televisivo, quando la pubblicità era fatta tutte le sere da Carosello: “Basta la parola”, diceva alla fine dello sketch l’attore, che pubblicizzava un lassativo.