La “cosa” giallo-verde prende forma e sostanza anche se sulla sua strada non mancano gli ostacoli. Oltre alle infinite discussioni sul contratto si è aperto un caso anche su chi dovrebbe incarnare il progetto e cioè il candidato premier Giuseppe Conte finito sotto i riflettori della critica per il suo curriculum “gonfiato”. Il Quirinale ha deciso comunque di affidargli l’incarico facendo passare subito la nuvola che si era alzata e che poteva coprire la nomina a Presidente del Consiglio del professore indicato da Cinque Stelle e Lega.
C’è poi un problema legato alla legittimazione politica di un “tecnico” dopo che per tutta la campagna elettorale si era parlato apertamente di rispetto della volontà popolare e dunque di un politico a Palazzo Chigi. Ma al di là del nome sta comunque nascendo un qualcosa di inedito. Cinque Stelle e Lega sono le due forze che hanno vinto le elezioni e in democrazia chi vince ha ragione perché conta la volontà del popolo però queste due forze non si sono presentate in coalizione prima del voto e dunque dovranno adesso trasformare le loro diversità in un programma unitario di governo.
Il contratto ha soprattutto questo scopo. Le differenze però ci sono e sono destinate a rimanere tali. I cinque stelle facendo solo l’esempio delle infrastrutture hanno una vocazione molto ambientalista cara soprattutto a Beppe Grillo mentre i leghisti che sono abituati da anni a governare le realtà produttive del Nord hanno un’impostazione su queste tematiche diametralmente opposte. Identico esempio si potrebbe fare per il capitolo immigrazione. E poi c’è la politica economica. L’intesa è stata trovata ma c’è un massiccio ricorso alla spesa pubblica. Reddito di cittadinanza, flat tax su due aliquote, correzione della legge Fornero costano oltre 100 miliardi. Una cifra difficile da reperire.
Le promesse elettorali sono difficile da far quadrare quando si passa dall’enunciazione ai fatti. Altro nodo da sciogliere è il rapporto con l’Europa. In questi anni è cresciuta non solo in Italia ma in tutto il continente una spinta anti Bruxelles. Chi governa l’Unione dovrebbe cominciare a dare qualche risposta e non solo fare domande. L’uscita della Gran Bretagna dalla Brexit, la Le Pen che arriva al ballottaggio in Francia, la nascita in Spagna a sinistra di Podemos e a destra in Grecia di Alba Dorata così come l’affacciarsi della destra xenofoba in Germania sono tutte spie di un sistema che fa fatica a capire la società.
Di Maio e Salvini sono convinti che in Europa per l’Italia è arrivato il momento di battere i pugni sul tavolo, il nostro paese deve procedere per strappi e non per accordi. Un interesse nazionale che deve venire prima di quello europeo. E’ il sovranismo leghista che si traduce soprattutto nelle battaglie sui migranti. Una strada stretta che per procedere strizza l’occhio alla Russia di Putin. Sono dunque queste le sfide che il governo del “cambiamento” intende lanciare sulla politica economica e su quella estera.
Un cambio di passo che vede la contrarietà di Forza Italia e del PD. I due partiti che hanno di fatto governato l’Italia dal ’94 ad oggi in modo alternato sono oggi entrambi all’opposizione. I voti del movimento berlusconiano rischiano di essere risucchiati nella nuova destra giallo-verde e per questo Forza Italia si è scoperta europeista e moderata. Il PD deve attraversare un deserto ma ha la strada sgombra. Il campo della sinistra è libero. Si tratta di occuparlo con idee e contenuti. Profeticamente Norberto Bobbio lo aveva capito perfettamente: “Discutono del loro destino – diceva – senza capire che dipende dalla loro natura. Risolvano il problema della loro natura e avranno risolto il loro destino”.
di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud