“La società iraniana è profondamente divisa. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi era un ultraconservatore ma il paese è caratterizzato da differenti ideologie politiche e gruppi etnico-religiosi. Tanti iraniani sono a lutto, altri indifferenti. Ecco perché sarà interessante cercare di capire quale sarà il verdetto delle prossime elezioni. Sarà una prova importante per l’Iran. Ma è difficile immaginare un cambiamento radicale della politica del paese”. A sottolinearlo il professore Raffaele Mauriello, docente all’Università Allameh Tabataba’i di Teheran, avellinese doc che da anni vive e insegna in Iran. Il presidente Raisi è morto in seguito ad un incidente in elicottero con il suo entourage. Politico e magistrato, era molto vicino alla Guida del Paese, Ali Khamenei, di cui era considerato il potenziale successore. Era in carica dal 2021, quando aveva vinto le elezioni, diventando l’ottavo presidente del Paese con 17,9 milioni di preferenze.
“Secondo diverse testimonianze, il presidente iraniano – ricorda Mauriello – avrebbe anche fatto parte di un piccolo comitato che nel 1988 ordinò l‘esecuzione di migliaia di dissidenti politici in prigione, in gran parte membri dell’Organizzazione dei Mujahedin-e Khalq (MKO) e di gruppi politici di estrema sinistra. Raisi fu accusato per questo di violazioni dei diritti umani e più volte è stato destinatario di sanzioni da parte degli Usa. Sebbene non fosse il capo di Stato, il presidente è capo di governo e ha un ruolo importante nelle relazioni internazionali e nella sicurezza interna. Era un ultraconservatore, succeduto a un moderato come Rouhani. La sua politica era in linea con quella del leader del paese. A caratterizzare il suo mandato una gestione fallimentare dell’economia, la dura repressione del movimento di protesta dell’autunno del 2022 e l’attacco diretto a Israele in risposta al bombardamento del consolato dell’Iran a Damasco. Dopo aver messo le proprie mani sull’amministrazione centrale, si preparava a compiere le prime riforme”