Arriva da Roberto Montefusco di Sinistra Italiana una dura riflessione sul documento del Piano Strategico delle Aree Interne che condanna inesorabilmente alcuni territori, affermando che “Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita” “Non sono parole uscite “fuori dal senno”- scrive Montefusco – quelle contenute nel Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (Psnai), approvato nel marzo scorso dal governo. Sono la naturale conseguenza del darwinismo sociale e territoriale della destra. Quell’idea per cui tutto ciò che non è considerato appetibile, produttivo, concorrenziale, competitivo, deve essere superato. Al massimo accompagnato pietosamente verso il declino. Vale per le persone, nella concezione per cui se sei povero è colpa tua, e al massimo ti assisto con qualche briciola. Vale per i territori. Se ci pensiamo bene, nelle parole di quel documento c’è un’idea precisa di Italia, centrata sulle grandi aree urbane, sulle aree produttive ad esse collegate, su alcuni poli turistici. In un’ Italia congestione urbana, decadimento della qualità della vita, costo della vita stessa sempre più alto. Nell’altra, quella delle cosiddette “aree interne”, che sono circa il sessanta per cento del territorio nazionale, il destino dell’abbandono e della desertificazione. Le parola del Governo e della destra (perchè qualcuno fa finta che non abbiano paternità politica) hanno quantomeno il dono della chiarezza degli intendimenti e della assenza di ipocrisia”
Non ha dubbi Montefusco “Peraltro tutto questo appare funzionale all’idea di una riconversione bellica della nostra economia. Insomma, se il futuro è nell’aumento delle spese militari che spazio ci può essere per le infrastrutture, gli ospedali, i mezzi di trasporto, le politiche industriali, gli investimenti “green”, per l’idea di una stagione di rilancio del Mezzogiorno? Che viva di quantità e qualità della spesa, del coordinamento tra regia nazionale e attori locali, che parta dal rammendare un territorio frantumato e parcellizzato. Questa è la visione della destra, quella di una eutanasia nemmeno tanto lenta. Sarebbe il caso di fare due cose. Immaginare un movimento meridionalista non fondato su una idea rivendicativa e elemosinante, ma che ricostruisca un pensiero, una visione, una agenda politica. Ricordare, nelle urne, quelle parole. Ricordarle anche a chi finta di dissociarsi ma è funzionale a quel disegno. Funzionale e complice”.