“Ritrovare il coraggio di nuove eresie, rinnovare ribellioni per inseguire le nostre unicità, diffidando di quella grigia normalità dietro la quale si nasconde il sinistro rumore della neutralizzazione dell’anima”. E’ l’appello che lancia Paolo Crepet, psichiatra, educatore, sociologo e scrittore, nella sua conferenza spettacolo “Mordere il cielo”, in scena questa sera, alle 21, al Teatro Gesualdo. Da anni lo psichiatra porta avanti una riflessione sul nostro tempo, rivolgendo la propria attenzione in particolare ai giovani. “Viviamo tra nuove guerre, migrazioni di massa, povertà che si ammassano nelle grandi città – spiega lo psichiatra – vecchie e nuove droghe dilagano, ansie e angosce trovano insuete espressività. Come se un’antica cicatrice interiore fosse tornata a condizionare il tempo presente. Eppure molti continuano a cercare, forse proprio perché l’eclissi della ragione coglie un’umanità sempre più smarrita. Proprio adesso che una parte del pianeta pensava di aver conosciuto benessere e allungamento della vita, mi chiedo dove siano andate a finire le nostre emozioni, perché in tanti tendono a relegarsi in una solitudine che accomuna giovani e adulti, vecchi e bambini. Siamo all’età dell’insensibilità?”. Il riferimento è all’anestesia dell’anima e della mente determinata dalla complessità del tempo in cui viviamo ma anche da una società dominata da nuove tecnologie, mentre dai codici semantici, simbolici ed espressivi utili per comunicare va gradatamente scomparendo l’alfabeto del cuore e dei sentimenti. Crepet non nega l’utilità del progresso scientifico ma a patto che sia l’uomo a guidarlo.
Di qui l’invito a parlare di “questa potenziale eclissi di una parte della nostra sfera emotiva, le complicità e le omissioni che tendono a tradire l’identità più profonda di ogni essere umano. Non ama il termine fragilità con il quale sono spesso etichettati i giovani, poichè finisce per deresponsabilizzare gli adulti, ribadisce come “Quello che conta sono la creatività, la dignità e la passione che solo i genitori e i nonni possono insegnare. Non è l’eredità materiale, ma l’insegnamento ricevuto a fare la differenza”. Spiega di non sapere “di chi sia la colpa se le emozioni non sono più di moda: siamo tutti complici di questo declino relazionale e chi lo nega, bara. Perché è visibile a chiunque, dai bambini ai nonni: tutti dovrebbero condividere la preoccupazione, dai bimbi che non giocano più ai genitori che non li fanno giocare, ai nonni che non possono più raccontare le fiabe” . “Mordere il cielo” significa, dunque, innanzitutto recuperare l’empatia come fonte di conoscenza degli altri, riappropriarsi della libertà e del piacere del bello, ristabilire il primato del pensiero critico. Il suo è un invito a tornare a sognare, ad alzare gli occhi da terra, contro l’appiattimento nell’indifferenza e la rassegnazione, contro ogni forma di cinismo ed egoismi