Uno spaccato di vita dell’Avellino di inizio Novecento e insieme un modo per riaffermare il legame forte con le radici. E’ un omaggio alla propria famiglia quello che consegna Mirella Napodano in “Ma l’amore no”, edito da Delta 3. A rivivere attraverso un fitto epistolario la storia d’amore tra il padre Carmine e la madre Emilia Cotone, figlia di quel Fiorentino, che fu l’anima della rivista ‘Don Basilio’. Una storia nella quale ritroviamo la città di Avellino di un tempo con i suoi simboli, i luoghi che scandivano la quotidianità, dal caffè Roma alla tipografia Pergole, le sue ansie e le sue speranze a partire da quelle accese dalla propaganda fascista che condurranno Carmine al fronte in Africa. A dominare le pagine la figura di Fiorentino Cotone, “la passione per il giornalismo, che costituiva in lui un’insopprimibile dimensione identitaria, dava senso e portata al suo impegno civile alla stessa stregua degli incrollabili valori familiari”. “Sono proprio io Don Basilio – scriveva – pure oggi c’è qualcuno che mi saluta come Don Basilio più che come Don Fiorentino”. Ed è lo stesso Cotone a ribadire il ruolo di sentinella svolto dal giornale in quegli anni “Si apra e si svolga la raccolta delle nostre annate dal 1908 ad oggi e si vedrà la complessa nostra opera di sorveglianza e di controllo sui pubblici affari; si vedrà, come in una cinematografica a lungo metraggio, lo svilupparsi di avvenimenti, di situazioni, di uomini, presentati senza fosche ombre o false luci o ambigue posizioni…Don Basilio, eco fedele dell’opinione pubblica, non fu il portavoce di Caio o Tizio, non fu il patrocinatore di una causa più che dell’altra, non fu il vessillifero di questo o quel partito, quando cioè i partiti rendevano la Nazione faziosa, agnostica, abulica, imbelle”. Napodano è bravissima a tratteggiare la vita della famiglia con Don Fiorentino, costretto a fare i conti con la dolorosa perdita delle sue mogli – si sposerà tre volte con Emilia De Mattia, morta pochi anni dopo le nozze, Fausta Raucci, morta insiem al quinto figlio e Luisa Amodeo – e i suoi sette figli “L’austera figura del padre, uomo di notevole esperienza, dotato di grande umanità ma severo e intransigente, dominava la vita di Emilia, legata a doppio filo a quell’unico genitore di cui avrebbe sempre apprezzato consigli e orientamenti, senza con ciò riuscire ad elaborare il lutto per la morte della madre Fausta, avvenuta appena tre anni dopo la sua nascita e inconsciamente avvertita come un abbandono”. Un amore, quello tra Carmine ed Emilia, contrastato dal padre che immaginava per la figlia un uomo dalla più solida posizione sociale, legato al mondo della Scuola Enologica di cui era un sostenitore. Un amore dalle mille sfumature, contraddistinto da delusioni e speranze “in particolare da parte di Emilia per quella sua vena di inafferrabile malessere -malcelato da un esibito senso dell’umorismo misto all’ironia – che ha caratterizzato tutta la sua vita e che le derivava da un’infanzia trascorsa senza cure materne, in una casa troppo grande ed affollata”. Così nelle prime lettere all’amata Carmine scrive una sorta di diario rivolgendosi ad un misterioso personaggio frutto della fantasia, Morloch, al quale esprime i suoi timori, poichè Emilia non sembra ricambiare il sentimento o appare troppo volubile “Creatura che nel mio cuore facesti un dì una grande piaga, il mio soffrire sia l’eterno tuo dolore e quando crederai di aver incontrato la felicità che agogni ma che tu stessa hai distrutto in me, scenda sul tuo capo il giusto castigo per ricambiarti quello che hai fatto”. Emilia, che lavora come contabile nella tipografia Pergola, è indecisa, malgrado sia profondamente legata a lui, vorrebbe a un certo punto lasciare Carmine che sembra quasi soffocarla con la sua devozione assoluta e i continui inviti a prendersi cura della salute a non stancarsi troppo. A complicare la relazione saranno anche lettere anonime e pettegolezzi in una Avellino provinciale e bigotta. “Emilia carissima, il tuo nome – scrive Carmine – è ritornato ancora sulle mie labbra come un balsamo risanatore ed ora, per l’infelice anima di un essere detestato dalla società dovrebbe scomparire per sempre? Che colpa ne ho io se altri provano diletto nell’infangare il tuo nome?….Abbandona ogni brutto pensiero: io ti sono costantemente vicino con lo spirito e la parola”. Ma l’amore vincerà ogni ritrosia o dubbio di Emilia. Carmine, militare a San Salvatore Telesino, alla ricerca di un impiego stabile, parteciperà ad un bando di reclutamento di allievi sottoufficiali nelle forze armate e sarà presto inviato in giro per l’Italia, a seconda dell’incarico assegnato. Le lettere si susseguiranno senza sosta “Mia cara Emilia, sapessi la gioia immensa che ho provato stamane nel ricevere le tue due lettere, pur se prive di sentimento. Per me, in questo momento, un tuo scritto, una semplice frase mi fa dimenticare l’uggia della giornata….Devi ricominciare ad amarmi come una volta perché io ti amo; devi ritornare come un tempo, comprensiva e piena di affetto”. Trasferito all’85° Battaglione Fanteria, Carmine si imbarcherà da Napoli il 5 novembre 1939 per raggiungere Tripoli, sua prima sede in Africa settentrionale. Tanti i timori che accompagnano quella partenza, come quello che il soggiorno si prolunghi troppo e che Emilia non sappia attenderlo. Raggiungerà Yefren e sarà destinato al 60° Battaglione Mitraglieri nella regione libica della Tripolitania. Fugaci saranno nelle lettere, che non smetterà mai di scrivere a Emilia, partecipando con premura alle vicende della famiglia Cotone, le allusioni all’andamento delle azioni belliche, filtrate dalla censura militare, rigorosamente chiuse dal Vinceremo finale. Eppure, non sfuggono, con il trascorrere dei mesi, toni sempre più drammatici, nel racconto delle azioni di guerra per le truppe. “Quanto tempo resterò ancora senza di te? E’ un azzardo che faccio a me stesso, dicendo così, ma non ci badare. Io ho la mia fede, la mia speranza, la mia visione un domani felice”.. Carmine coglieva i segni dell’imminente sconfitta e non poteva non soffrire per la sorte che attendeva i soldati. “Dallo scoppio delle ostilità – scrive in una lettera consegnata a mano – ho ciecamente creduto nelle nostre forze, negli immancabili successi e anche quando la sfortuna ci è stata avversa, ho trovato nella fiducia che mi animava il conforto per superare ogni ostacolo, rincuorandomi nell’attesa e nella preparazione che vedevo sempre crescenti….Oggi la situazione è ben diversa: il nemico ci ha scagliato contro con successo le sue migliori forze e i mezzi più potenti su cui può contare, a distanza di circa un mese ha riconquistato il terreno perduto e marcia sul suolo che abbiamo tanto difeso, sicuro di sè, pronto ad annientarci e affogarci nel mare nostro. La situazione è disperata…Se fossi solo non mi darei pensiero ma ho dei doveri e delle responsabilità sulle spalle ; di più preferirei morire che cadere prigioniero del nemico”. Pubblichiamo di seguito un estratto della toccante introduzione al volume a cura di Mirella Napodano. L’autrice spiega le ragioni della scelta di narrare la storia della famiglia.
Il romanzo è in vendita nelle librerie ed edicole della città