Un giorno a Napoli, tra attese salmastre e spiriti che parlano di mare.
Partire dall’Irpinia con 7 gradi alle 8.00, percorrendo l’autostrada tra nebbiolina e luce incerta, per poi ritrovarsi a Napoli, sulla riva del mare, in attesa di qualcosa che sa di misterioso, prezioso e profondamente umano. È così che è iniziata la mia giornata del 3 ottobre.
Un viaggio che sapeva già di promessa, direzione: Molo Beverello, destinazione: una barca chiamata “Patrizia”. Saremmo saliti a bordo per assistere da vicino, a pochi metri, all’emersione di un tesoro liquido custodito per un anno negli abissi davanti a Castel dell’Ovo: 450 bottiglie di limoncello firmate Antica Distilleria Petrone, affinate a 13 metri di profondità nel porticciolo di Santa Lucia. Ma prima dell’emozione, c’è stata l’attesa. Il mare, la gente, il freddo mitigato dal sole che iniziava a salire. E poi lei, “Patrizia”, la nostra nave, è arrivata. L’aria sapeva di sale e aspettativa. Un evento che non è solo spettacolo: è sperimentazione, storia, identità, scienza e futuro.
Quando le bottiglie hanno cominciato a riemergere, riportate in superficie dai sub della STS in collaborazione con i ragazzi dell’Area Penale di Napoli (progetto MareNostrum), ho sentito un brivido. Era come vedere tornare in vita qualcosa di dimenticato, di antico, ma nuovo allo stesso tempo. E quando ho avuto modo di assaggiare una goccia di quel limoncello che ha dormito un anno sul fondo del mare, è stato chiaro: non è il solito.
È un carso più raffinato, ma anche sottilmente pungente, come limoni quasi verdi appena colti. Si avvertono richiami marini, in particolare finocchietto marino, e una nota balsamica elegante che si fonde con i sentori della macchia mediterranea. È come se il liquore avesse preso in prestito una parte del respiro del mare. Nel pomeriggio, presso il Real Yacht Club Canottieri Savoia, la conferma è arrivata anche dalla scienza. I risultati degli studi dell’Università Federico II e dell’Università San Raffaele sull’Elixir Falernum, altro liquore firmato Petrone anch’esso invecchiato nei fondali, hanno evidenziato un profilo aromatico arricchito da composti rari – furani e furanoni – responsabili di note caramellate, fruttate, tostate. La cantina non può competere con le vibrazioni del mare.
Ma al di là dei dati, quello che porto con me è l’emozione di aver vissuto una prima volta che unisce territorio, etica, sperimentazione e bellezza.
Andrea Petrone, con la sua visione, non sta solo producendo liquori: sta ridefinendo il senso stesso di “affinamento”. Non in senso tecnico, ma poetico. Quello che emerge dalle acque è qualcosa che ha riposato lontano da tutto, in silenzio, al buio, nel grembo del mare. E oggi, chi assaggia queste bottiglie, assaggia anche un pezzo di Mediterraneo.
Ed ovviamente a chi ha creduto in questa visione e l’ha resa possibile, il mio grazie più sincero: la forza delle connessioni è ciò che trasforma un’idea in realtà.