“Quella che ci consegna Matilde Serao è l’immagine di una città chiusa e buia, in cui il tempo sembra essersi fermato, che sfugge a una narrazione stereotipata, capace di entrare nelle viscere del reale”. E’ il giornalista Generoso Picone a raccontare la scrittrice e giornalista Matilde Serao, a partire dalla sua dimensione poliedrica. Un confronto promosso alla Biblioteca Provinciale dal Comitato Nazionale in occasione delle celebrazioni del centenario della morte promosso in collaborazione con la Provincia di Avellino e l’Accademia dei Dogliosi che si fa riflessione su passato, presente e futuro del capoluogo partenopeo, a partire dal volume dedicato da Nadia Verdile alla Serao. Una riflessione introdotta dagli interventi di Fiorentino Vecchiarelli dell’Accademia dei Dogliosi e da Emanuela Pericolo in rappresentanza della Provincia che sottolineano la capacità della Serao di precorrere i tempi. Picone sceglie di partire dalle contraddizioni della sua figura in cui convivono giornalismo e scrittura letteraria: “Prima direttrice di un giornale, è una narratrice che scrive sui giornali, capace di fare del giornalismo arma per penetrare la realtà. Racconta le condizioni delle fasce sociali meno abbienti ma il suo pubblico è rappresentato dalla borghesia. Afferma di voler scrivere ciò che vede ma poi un libro come ‘Il ventre di Napoli’ ha la sua genesi a Roma, lontano dal capoluogo partenopeo. E’ una moderata e monarchica, ma antifascista, non è una femminista ma dimostra grande attenzioni alle questioni delle donne. Non è un modello che può corrispondere alla donna di oggi ma certamente ha fatto cose che le donne del tempo non facevano. Se appare, a un primo sguardo, come una donna del focolare, madre e moglie, dimostra di essere l’esatto contrario con il suo essere giornalista e scrittrice”.
Una giornalista che non usa scorciatoie nella narrazione, come spiega Picone: “In un’opera come Il Ventre di Napoli scopriamo una città chiusa, ripiegata su sè stessa, senza voce, da cui discenderà, poi, la città fatta di disperazione e rabbia del teatro di Viviani e De Filippo. La sua è un’invettiva contro la classe dirigente, che appare del tutto inadeguata. Lancia un provocazione, si sventri pure la città, purchè si metta a mano in qualche modo alle emergenze del capoluogo. La sua è un’accusa durissima a chi governa il paese che vuole accendere i riflettori sul problema Napoli, senza riuscire, però, a proporre soluzioni. Ma il ‘ventre di Napoli’ non è solo uno spaccato della miseria dei bassi, è anche quel patrimonio di conoscenze che caratterizza la città antica, è la lente attraverso cui imparare a guardare Napoli, partendo dal suo vero volto. Poichè, come ci insegna Domenico Rea, è certamente falsa la divisione di Napoli in due città, quella dei bassi e quella sorta in collina, popolata dalla classe borghese, Napoli è una città sola, profondamente interclassista, in cui le diverse fasce sociali si mescolano continuamente. Al tempo stesso, l’immobilità più volte citata dalla Serao sembra richiamare l’analisi che Pasolini fa di Napoli, ricordandoci che c’è sempre qui una tribù che si oppone alla modernità, intesa come processo che ha distrutto le campagne e ha corrotto la politica, ma anche come fattore da cui scaturisce una distanza siderale dal progresso”. Per ribadire come “La scrittura non può curare ferite, lo scrittore non è un sacerdote, può solo scuotere. Di qui il tentativo di Serao di rappresentare la realtà, a partire dalla conoscenza, sia pure emotiva”. E’ Lanna a sottolineare la sfida portata avanti dal comitato per le celebrazioni, nato nel marzo 2025 “La sua vita si fa, malgrado si dichiari esplicitamente antifemminista, manifesto a sostegno dell’uguaglianza delle donne, in un tempo in cui l’universo femminile era discriminato in tanti campi, basti pensare all’impegno con il Mattino e le diverse testate da lei fondate alla scelta di crescere la figlia della relazione adulterina del marito Scarfoglio. Nata in Grecia e poi trasferitasi in un piccolo paese a Caserta, è un’imprenditrice, fonda il Corriere di Roma, Il Corriere di Napoli, rivolge il suo sguardo allo sfruttamento femminile e alle maestrine troppo spesso discriminate. Più volte candidata al Nobel, muore con la penna tra le mani, mentre scrive il suo ultimo articolo. Il suo ventre di Napoli è un trattato di antropologia e filosofia. Il suo sguardo capace di raccontare la realtà è un riferimento anche per il giornalismo di oggi, un richiamo a partire dal reale. Ciò che colpisce non è solo la sua capacità letteraria ma la sua vita che è un miracolo. Una sfida, quella del Comitato per le celebrazioni, ribadita dalla stessa Nadia Verdile che pone l’accento sul coraggio e la costante ricerca della verità da parte di Serao.
Un incontro impreziosito da una bella mostra che riunisce alcuni dei suoi romanzi e articoli e racconti pubblicati su rivista, dal giornale letterario Il Novelliere dove nel 1878 appare la novella Fanciullo biondo firmata con lo pesudonimo Tuffolina, nata dal titolo di una scultura di Odoardo Tabacchi al Piccolo diretto da Rocco De Zerbi fono al quotidiano Il Fanfulla tra i più importanti settimanali dell’Italia post unitaria, diretto da Capuana, di cui Serao fu una firma prestigiosa, dalla Cronaca Rosa al Giornale di Napoli con la rubrica “Novità letterarie e critiche teatrali”. Una mostra che ci ricorda come le redazioni ottocentesche erano un olimpo maschile ma la tenacia e la passione per la scrittura le furono d’aiuto. Del resto, il giornalismo rappresentava l’opportunità per emergere pubblicando romanzi o novelle prima in appendice e successivamente in volumi.









