Ci vuole “più Mezzogiorno in Europa”, per capovolgere l’ordine del giorno nell’incerto destino dell’Unione Europea Il Sud, prima di essere stato relegato ad area periferica e marginale di un’Europa tecnocratica e nord centrica, è quella macroregione d’Italia esclusa dal governo di un Paese che ha ormai rimosso la “questione Mezzogiorno”. Se poi si prova, all’interno del frastagliato e complesso contesto meridionale, a focalizzare l’attenzione sulla grave crisi che vivono i territori delle aree interne, non si può fare a meno di segnalare il lento declino che attraversa le comunità del Sud interno. Il riferimento é a territori fragilissimi. Qualcuno li ha definiti territori “muti”, luoghi nei quali il continuo drenaggio di uomini, si veda alla voce “emigrazione”, di risorse, si legga alla voce “saccheggio”, e lo smantellamento delle residue attività produttive, si legga alla voce disoccupazione, ha generato e continua a generare “spaesamento”, impoverimento, disagio, in un’espressione assenza di presente e di futuro. Uno smarrimento dovuto, non di meno, anche all’incapacità palesata da parte di chi vive in questi territori “muti”, disperanti, di rivendicare diritti ed esprimere bisogni. I territori non hanno reagito, salvo in pochi sparuti casi, e la residuale capacità reattiva sembra essere destinata a esaurirsi se non interviene un processo di guida degli eventi. La politica, intesa nella dimensione e organizzazione comunitaria, non è più alla testa, e “nella testa” di chi vive il difficile presente in territori marginali. In questi critici e turbolenti anni di sottrazione, di saccheggio, di cancellazione di un qualsiasi futuro, si è registrata l’assenza di una risposta collettiva capace di far cambiare il corso degli eventi. Con la politica a far da testimone, sostanzialmente, di una realtà che si è caratterizzata per una profonda involuzione. Realtà che non è più in grado di trasformare, proponendo uno sviluppo locale con una visione globale e consegnando delle risposte al generale processo di impoverimento umano e materiale. Il tema delle aree interne, con la sua specificità, non è all’ordine del giorno e l’Europa appare lontana, sempre più lontana, soprattutto quando lascia il Sud solo con i suoi tanti “drammi”, vecchi e nuovi. Si aggiunga che il ridotto peso elettorale dei territori interni contribuisce, in misura significativa, a dilatare la marginalizzazione che subiscono grazie ad un livello demografico sempre più critico. I territori delle aree interne devono riorganizzarsi, promuovendo una classe dirigente nuova, poiché sono chiamati, e non sembra esserci altra via d’uscita, ad una sfida cruciale per la sopravvivenza, contrastando i meccanismi che li condannano, e proponendo una visione di futuro alternativa. Insomma occorre un’inversione dei termini del ragionamento rispetto al passato, di cambiamento di impostazione culturale, dell’assunzione di un punto di vista nuovo, di una “visuale” diversa rispetto ai territori che costituiscono l’Appennino e le zone interne. Dopo lunghi anni, nel corso dei quali abbiamo gradualmente voltato le spalle alle nostre montagne, bisogna cominciare a “guardare” la Città, il Paese, dalla cima delle montagne. Bisogna spostare il baricentro “dall’esterno” “all’interno”, dalle inflazionate aree metropolitane ai luoghi dell’interno, sempre più a rischio “desertificazione umana”. Il Mezzogiorno ha bisogno dell’Italia, il Mezzogiorno ha bisogno dell’Europa, ma ancor più l’Italia ha bisogno del suo Mezzogiorno, l’Europa ha bisogno del Sud.
di Emilio De Lorenzo