Avanza tra la generale disattenzione la questione dei giovani allo sbando. Anche in Irpinia, un tempo isola felice sebbene povera, la droga fa proseliti determinando violenze inaudite. La società degli adulti si dimostra quasi indifferente verso questo fenomeno che viene sottovalutato. La movida è ormai diventata in alcuni casi riferimento per ragazzi desiderosi di protagonismo in negativo. Ovviamente quel che accade in Irpinia non è certamente paragonabile all’emergenza che vive l’area metropolitana, in cui episodi di violenza giovanile sono all’ordine del giorno tanto da richiedere una attenzione nazionale. Cosa c’è dietro e dentro questo preoccupante fenomeno? Non è più tempo, ormai, di chiedersi se l’aumento della criminalità minorile sia da addebitarsi solo al controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine o alla rottura di un rapporto giovani-società. Entrambe le considerazioni hanno un loro spazio di riflessione che, però, non risolvono il problema. Intanto pesa molto l’assenza di grandi ideali che sono stati il nutrimento del buon pensiero.
Si aggiunge a questo il permissivismo, vissuto a volte da parte degli adulti come ricatto. La società in cui viviamo, “del tutto e subito”, ritiene in sostanza, che concedendo troppo si è liberi dalle preoccupazioni. E’ esattamente il contrario: così si uccide il desiderio, si minimizza il valore della conquista. Soprattutto si frantuma la scuola della buona educazione. Questo degrado sociale, che vede i meno strutturati trasformarsi in piccoli criminali, ha delle precise responsabilità appartenenti a quella società di mezzo vissuta tra i sacrifici del dopoguerra e la cattiva interpretazione della modernità sociale. In questa evoluzione sono coinvolti le agenzie sociali (famiglia, chiesa, scuola, ecc.) ma anche, e in modo determinante, il fattore economico e le nuove tecnologie senza controllo. I nuovi linguaggi dei social a esempio, se da una parte consentono l’immediatezza per la conoscenza di un fatto, dall’altra ne strumentalizzano il significato proiettandosi nella società come un desiderio emulativo. Rispetto a tutto questo e a molte altre considerazioni che si potrebbero fare sull’uso distorto della comunicazione, la politica è distratta da una inconcludente ed effimera lotta per il potere. Chi insegna oggi che cosa è il bene comune? Forse la maggior parte dei docenti che vivono con fastidio quella che invece dovrebbe essere una missione nella formazione degli studenti? Senza generalizzare esempi di malaeducazione che sono ormai all’ordine del giorno. Le stesse Istituzioni come guardano al disagio giovanile e quale impegno testimoniano?
I piani di zona, nati per contribuire a combattere il disagio sociale, come sprecano, quando sono attivi, il pubblico danaro? Forse con una convegnistica quasi sempre inutile e foriera di medaglie da appendere sul petto di qualche dirigente? Ad Avellino il piano di zona si è trasformato in lotta politica personale, tra i sindaci che fanno parte del Consorzio e il vertice del Comune che intende trasformare il piano di zona in strumento per la raccolta del consenso. E che dire del Comune capoluogo che esternalizza quasi tutti i servizi affidandoli a privati mentre potrebbe favorire l’occupazione giovanile favorendo cooperative di ragazzi senza lavoro? E la politica? E’ assente. Dei giovani parla solo quando ci sono turni elettorali. Anzi è proprio la politica a costruire un’immagine distorta della società tanto che la fuga dalle urne è sempre più attale. Quella politica che parla del niente, che litiga senza confrontarsi, che emargina i giovani definendoli categoria e intanto li costringe a strappare le radici. Così, in balia delle onde, i ragazzi cercano la violenza, in una fuga in avanti che ne cancella l’identità.
Gianni Festa