“Un esperimento di metodologia storica e intellettuale che consente di comprendere quanta vita ci sia nella storia del soldato dell’esercito napoleonico Stefano Colucci e insieme come la Grande Storia entri con forza nel percorso esistenziale di un uomo comune che vive in una regione periferica del Regno” Spiega così Vincenzo Barra, ricercatore di storia moderna all’Università di Salerno, l’idea da cui nasce “Ricordi di un soldato napoleonico”, Terebinto edizioni, presentato ieri all’Archivio di Stato di Avellino nell’ambito della rassegna “I Giovedì della lettura”. E’ il direttore dell’Archivio di Stato Lorenzo Terzi a spiegare, nel corso dell’incontro moderato dal bravo giornalista Gianluca Amatucci, come il testo rappresenti un’importante testimonianza autobiografica “Stefano Colucci, proveniente da una famiglia di piccoli proprietari di Baiano, scrive queste sue memorie per tramandare le sue esperienze alla propria famiglia. Destinato a una vita conventuale, vede il corso della sua vita cambiare a causa della soppressione dei conventi. Sceglie, allora, la vita militare per cercare di riscattare la propria condizione e si ritrova a vivere un percorso avventuroso che lo porta al seguito dell’esercito napoleonico prima in Spagna e poi in Italia”. Terzi sottolinea come Colucci si sofferma a lungo anche sulle difficoltà della vita familiare, “dal complesso rapporto con la donna che il padre aveva sposato dopo la morte della madre, che si comporterà come una vera matrigna a quello con la moglie, espressione di una famiglia siciliana aristocratica che lo considererà sempre un parvenu. La sua storia si fa così paradigma del passaggio dall’antico regime all’età contemporanea”. Terzi chiarisce il volume si faccia riflessione, come sottolineato nella prefazione da Sigurdur Gylfi Magnusson, sul valore della memoria individuale, dell’egodocumento nel contesto della microstoria, una letteratura in cui entra la soggettività, gli interessi del singolo come quelli dell’istituzione che promuove la pubblicazione “Poichè il documento non significa nulla se non viene interpretato”.
E’ quindi Vincenzo Barra a chiarire scelta di una metodologia che consente di superare le criticità legata alla memoria individuale e di privilegiare il documento, di trovare nuovi modo di indagare il privato all’interno della sfera pubblica “Noi storici siamo ossessionati dal contesto ma la metodologia proposta da Magnusson sceglie la prospettiva della singolarizzazione della storia, ponendo l’accento sul testo per non perdere di vista l’autore, sceglie di attraversare i margini del sè. Quello che emerge dal racconto di Colucci è la ricerca della dignità, la narrazione di un sè valoroso da trasmettere ai posteri, il ritratto di un uomo che vuole essere protagonista della propria esistenza, che lotta contro ogni forma di difficoltà. Pur avendo partecipato a numerose campagne militari si sofferma poco sula contesto politico, tuttavia, inevitabilmente la società si delinea nel documento. Nè l’autore si preoccupa di nasconde ai lettori ciò che non sa. Ad essere privilegiata è la vita emotiva dell’autore, fino a far emergere l’identità tra il lavoro dello storico e il compito delle neuroscienze, poichè anche il cervello come lo storico seleziona informazioni e ricordi. A prendere forma è una storia che possa apparire più vicina a quella di chi legge e a quella di chi ci ha preceduto. Accade così che la vita si faccia maestra della storia, ci aiuti a comprendere la storia stessa. Nel suo racconto possiamo riconoscere la parte essenziale di un processo di self makingm di autorappresentazione, che è il frutto della relazione con gli altri e con il mondo sociale e culturale dell’autore”.
E’ il professore Francesco Barra a sottolineare come il documento sia stato riscoperto dal professore Domenico D’Andrea, scomparso nel gennaio del 2024, e pone l’accento sulla capacità della testimonianza di rendere la complessa psicologia dell’alfiere Colucci “caratterizzato da un forte complesso di inferiorità ma anche da un spirito di sacrificio e volontà, riservato e introverso, sempre pronto per la sua formazione religiosa ad accettare la volontà di Dio. Stefano Colucci è un borghese dell’Ottocento che proviene da una famiglia di piccoli proprietari, ridotti quasi in miseria, tanto da costringere le generazioni successive a scelte diverse “Lui stesso racconterà di aver fatto quasi la fame per costruire la casa di famiglia. Ci troviamo di fronte a un personaggio balzacchiano, capace di adattarsi agli aventi, che da un piccolo paese di provincia si trova catapultato nell’agone della Grande Storia. Del resto, è la sua preparazione culturale, la capacità di leggere e scrivere a catapultarlo nell’esercito di Bonaparte, come addetto ai servizi logistici”. E’ quindi il direttore Terzi a sottolineare come “la ricerca storica sia purtroppo passata di moda, eppure cerchiamo di sottolineare più volte il potenziale narrativo dei documenti presenti negli archivi, senza snaturare il senso della missione di questi istituti”. E annuncia una mostra dedicata all’Avellino calcio che sarà inaugurata sabato 28 giugno, alle 19.