Anche se l’inizio del 2019 ha visto un’improvvisa accentuazione della litigiosità fra Movimento 5 Stelle e Lega su un ventaglio sempre più vasto di questioni, appare difficile che tra i due partener di governo si arrivi alla rottura definitiva, mentre sembra siano destinate ad esser deluse le speranze dei partiti, a cominciare da Forza Italia, e dei giornali, primo fra tutti “la Repubblica”, che soffiano sul fuoco della polemica dando per “già finito” l’esperimento iniziato dopo il 4 marzo scorso. Il dossier del contenzioso fra Di Maio e Salvini si arricchisce di giorno in giorno e comprende punti qualificanti del programma, anzi del “contratto”, come il reddito di cittadinanza, per non parlare delle emergenze impreviste, dalla banca Carige all’odissea dei migranti abbandonati a se stessi al largo di Malta in balia di un vergognoso braccio di ferro fra Roma, La Valletta e Bruxelles; ma ogni volta, un momento prima di voltarsi le spalle definitivamente, i due protagonisti della sfida infinita si riconciliano e tornano amici come prima, facendosi beffe di “giornaloni”, gufi e avversari politici. Sul filo del binomio collaborazione/competizione, l’alleanza di governo va avanti, anche grazie all’assenza di alternative praticabili e ad una inedita abilità mediatrice del presidente del Consiglio, che peraltro, nel momento stesso in cui riesce a ricucire le posizioni dei due fratelli-coltelli si guarda bene dall’ingigantire il proprio ruolo o dal costruirsi un profilo politico autonomo, egemone sulla coalizione.
Per quanto tempo si potrà andare avanti indenni tra i continui stop and go degli ultimi giorni? E’ prevedibile che la competizione sia destinata ad accentuarsi mentre si avvicina la scadenza elettorale delle europee (fine maggio); ma sia a Di Maio che a Salvini non conviene “strappare”: meglio aspettare piuttosto che siano gli elettori a incoronare il vincitore di una partita difficile quanto incerta. Nel frattempo, entrambi hanno speso le prime settimane del nuovo anno cercando di ampliare il perimetro della propria iniziativa politica coinvolgendo forze parlamentari più o meno affini di altri Paesi dell’Unione europea, con l’esplicita intenzione di esportare in Europa il “contratto” di governo italiano che ancora soddisfa le ambizioni dei due contraenti. Finora però non si può dire che i risultati di questa azione promozionale siano pienamente soddisfacenti. Il capo politico dei Cinque Stelle, che in Italia avverte sempre più la spregiudicata concorrenza di Salvini, ha tentato invano di “vendere” la piattaforma Rousseau ai gilet gialli francesi, che gli hanno risposto picche; e si è dovuto accontentare del vago interesse manifestato da minuscoli partiti di Polonia, Croazia e Finlandia, e di una presunta affinità con i “piraten” tedeschi e svedesi. Un po’ poco per chi era partito con l’ambizione di diventare l’ago della bilancia nel prossimo parlamento europeo. Meglio è andata a Salvini, che ha trovato molti punti d’incontro con i polacchi di “Diritto e Giustizia”, partito nazional-populista che a Strasburgo fa parte dell’Alleanza dei conservatori e riformisti e che spera, con l’aiuto della Lega, di evitare la condanna per violazione del principio di indipendenza della magistratura nel giudizio pendente davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue. Ma non sono rose e fiori neppure con i polacchi, che pure vantano una consistenza parlamentare notevole: a complicare le cose c’è il solido rapporto di Salvini con Putin, bestia nera di Varsavia, e l’intenzione del capo della Lega di far entrare nella partita anche Marine Le Pen, con la quale il Pis (la sigla del partito polacco) non vuole avere a che fare.
Al momento, insomma, il contratto di governo italiano non sembra un prodotto adatto all’esportazione, anche perché non essendo basato su di un progetto politico, rivela il proprio limite strutturale: se in Italia lo scambio di interessi e di aree di influenza fra Lega e Cinque Stelle ha finora funzionato, ciò non vuol dire che possa riprodursi tale e quale in Europa, privo com’è di una visione condivisa dei valori, dei diritti e delle libertà che sono alla base di quel disegno di integrazione europea che sia pure affannosamente cerca ancora di prevalere nelle urne di fine maggio.
di Guido Bossa