Nell’ambito della Rassegna Irpinia d’autore – 1ª edizione, verrà presentato al Caffè Hope di Avellino, sabato 12 aprile alle ore 17:30, il libro di poesia “Di cielo, di nuvole e di vento” di Monia Gaita, pubblicato con Rubbettino Editore. L’evento è promosso dall’Associazione “Insieme per Avellino e l’Irpinia” di Pasquale Luca Nacca”, in collaborazione con le associazioni “Il Bucaneve”, “Orizzonti” e “Avellino per il mondo”. Porgeranno i saluti Maria Ronca, presidente dell’associazione “Il Bucaneve” e direttore artistico della rassegna, Pasquale Luca Nacca, presidente di “Insieme per Avellino e l’Irpinia”, Elvira Napoletano, vicepresidente di “Avellino per il mondo”. I rilievi esegetici saranno a cura di Paolino Marotta, presidente dell’associazione “Orizzonti”, Antonietta Gnerre, scrittrice e poeta, Rosa Bianco, giornalista e critico letterario. La dirigente dell’Istituto Comprensivo di Aiello Elena Casalino leggerà alcune poesie. Modererà il dibattito il giornalista Gianluca Amatucci.
Il libro porta la quarta di copertina del poeta, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea e Prosa del Novecento all’Università di Bologna, Alberto Bertoni:“La luce e l’accaduto si sono finalmente ricongiunti/ dopo anni di finzione”: è questa la morale in fondo positiva che si può trarre dal nuovo libro poetico di Monia Gaita, che segna l’ulteriore progresso di un processo di maturazione e di presa di coscienza dei propri mezzi espressivi cominciato già qualche anno addietro. A ciò si aggiunga un’altra conquista pure d’ordine etico: la progressiva metamorfosi pronominale dell’io lirico nel noi non meno antropologico-religioso che storico-esistenziale delle pagine conclusive, per un insieme davvero originale entro il contesto della nostra poesia contemporanea. E l’opera della poetessa irpina finisce così per oscillare fra i due poli della singolarità sensibile e della comunità problematica che coincide con l’intero genere umano. Suddiviso in quattro capitoli a struttura poematica, il libro si articola attorno alle dominanti di un’orazione funebre che diventa autoconfessione del soggetto in primo piano; teatro di una natura che trascina la puntuale vicenda del racconto in un gorgo di millenni; la feroce ma non disillusa messa in discussione della valenza positiva dello sviluppo storico; e la struttura di un’arringa un poco difensiva e un poco accusatoria condotta davanti a una corte giudicante, poiché – come in Kafka – “Il crimine è compiuto, ma l’antefatto è ignoto.”