Ha ragione Pasquale Picone, Questore di Avellino, quando riflette sullo stato della città e dell’Irpinia attivando un ragionamento che veleggia tra il passato e il presente per sollecitare la pubblica opinione, e la stessa informazione, a recuperare un ruolo propositivo per aiutare questa nostra terra ad uscire da una crisi drammatica. Picone ha tutte le carte in regola per radiografare la realtà. Irpino di Ospedaletto e avellinese di adozione ha costruito la sua brillante carriera con spirito di servizio e non pochi sacrifici. E’ stato protagonista negli anni in cui prestava servizio in Irpinia della lotta alla camorra nel Vallo di Lauro nei tempi in cui la faida tra i Cava e i Graziano lasciava morti ammazzati determinando un clima di paura tanto che lo stesso Capo dello Stato, Sandro Pertini, fece sentire la sua tremula voce contro la criminalità in Irpinia. Erano altri tempi, tanto diversi da quelli attuali rispetto ai quali, con una maggiore responsabilità, Picone, da fedele servitore dello Stato, non demorde, mantenendo la sua determinazione per combattere la malapianta criminale. Il suo credo, a mio avviso, è si nell’essere un poliziotto a tutto tondo, ma soprattutto un intellettuale rigoroso che cerca la radice del male nella consapevolezza che essa si combatte soprattutto con la cultura e la difesa di una memoria di cui l’Irpinia e il suo capoluogo andavano un tempo fieri. Chi lo conosce, ed io da più di mezzo secolo, sa bene il suo ritorno in città da Questore è insieme sofferenza e impegno. Ho avuto l’occasione in questi ultimi tempi di seguire i suoi interventi in convegni e appuntamenti vari dai quali ho tratto riflessioni che non appartengono a fatti di cronaca, che comunque sono spunti dialettici, ma ad un progetto di redenzione, direi salvifico, di cui ha bisogno oggi l’intero martoriato nostro territorio. Il filo conduttore dei suoi ragionamenti è la legalità, quella stesso che questa testata persegue ormai da lungo tempo.
E’ vero che la legalità si ottiene anche con la repressione, ma sarebbe un risultato episodico perché ottenuto senza considerare una complessità che fa riferimento ad un modello di vita che è il punto di arrivo del malessere sociale. Da questo punto di vista l’Irpinia ha molte fragilità che ne hanno cambiato l’identità. Proverò, sia pure solo per sintesi, ad annotarle. – La provincia, che registra i confini con il Napoletano inquinato e il Salernitano, con l’aggressività del territorio compreso tra Sarno e Nocera, ha fortemente risentito della condizione di superpopolamento di queste zone ad alta criminalità organizzata che ha cancellato i valori della civiltà contadina. – A rendere permeabile il territorio con l’infiltrazione della camorra non sono solo le trasferte dai suddetti luoghi, ma l’interesse di speculatori locali che, alleandosi con pericolosi clan camorristici della periferia napoletana, che agiscono in piena illegalità, riciclano danaro sporco utilizzato nella speculazione edilizia e altro, compreso lo spaccio di droga. – A questi elementi, già drammatici di per sé, si aggiunge la complicità di una classe dirigente amministrativa, in molti casi corrotta nei suoi apparati burocratici, che è responsabile della distruzione del verde per indecenti provvedimenti, come si è visto in alcuni processi, percependo miserabili tangenti in cambio di “eccessiva disponibilià”. – La totale assenza della politica intesa come risposta ai bisogni della comunità. Da questo punto di vista la situazione si è aggravata negli ultimi tempi con la quasi scomparsa di una classe dirigente politica in grado di tenere lontana la criminalità e di essere determinata nel prendere le decisioni, anche quelle che avrebbero fatto storcere il naso a qualcuno. – Senza politica i partiti si sono trasformati in clan immorali verticistici caratterizzati da un eccesso di individualismo, animati da soggetti che hanno tradito il concetto della rappresentanza, limitandosi a gestire clientele, e quando qualcosa gli è stato negato hanno cambiato casacca reinverdendo quel trasformismo deteriore che è causa di un Mezzogiorno senza scrupoli. – Aggiungo a queste brevi notazioni anche la scomparsa sul territorio di una borghesia illuminata, che attraverso il proprio impegno aveva dato lustro e orgoglio all’Irpinia intera, e che oggi, quasi inesistente, salvo frange di pochi intellettuali, agisce invece per proprio tornaconto o, in qualche caso, è timorosa di partecipare al cambiamento. – C’è poi il ruolo svolto dalla Chiesa che si è ripiegata su se stessa con uno sguardo spesso miope sulla condizione giovanile in particolare nei quartieri dove la protesta ha confini con la violenza se, come sta accadendo, è essa stessa origine del male. – Infine, ma certamente non ultimo, bisogna fare i conti con il problema delle zone interne e dello sviluppo. Del primo argomento dico solo che è strumentale e poco dignitoso che diventi affare di campagna elettorale regionale, visto che esso è rimasto senza voce, fatta eccezione per la Conferenza episcopale campana che denuncia la chiusura di molte chiese, per interi anni.
Mi fermo qui, per amore della mia amata terra, lasciando al lettore di completare queste bravi annotazioni con suggerimenti, con lo scopo di avviare un dibattito serio e profondo sul futuro di questa nobile terra di un tempo. Mi fermo qui ma non posso non concludere da dove ero partito: dalle riflessioni del Questore Pasquale Picone, irpino doc. Perché nel suo dire, garbato ed elegante, ma connotato da una malinconia sincera, ritrovo le ragioni del decadimento della nostra condizione di vita. Fra tutte, l’assenza di una cultura capace non solo di fomentare una crescita civile nella quale il ritorno ai valori della Carta diventi faro del cambiamento, ma soprattutto di una cultura che faccia in modo che la repressione non sia l’unica risposta contro chi agisce nell’illegalità. Cultura come lezione di vita, che fa riflettere sull’origine di alcune inadempienze che fanno capo al vuoto politico, se non al girare lo sguardo dall’altra parte. Proprio come Picone dixit.