La ricorrenza del dodicesimo compleanno di un mio nipotino e il ritrovarsi familiare, con il rispetto delle prudenziali misure anticovid, mi hanno offerto l’occasione per pormi, ancora una volta, l’interrogativo su quale mondo futuro o prossimo, i nostri nipoti si troveranno a lottare per la loro migliore sopravvivenza. Gli attuali e sconvolgenti scenari di bambini che muoiono di freddo e fame sulle frontiere del ferro spinato dove si accalcano i flussi migratori, l’inaccettabile indifferenza dei potenti che si limitano solo a scaricare su altri le loro dirette responsabilità, le tragedie familiari che si consumano ripetutamente, che collocano l’Italia al primo posto in Europa per i figli uccisi in famiglia, i morti sui luoghi di lavoro che si registrano quasi quotidianamente e l’impotenza di chi ha la responsabilità per impedire questa, ormai, catastrofe antropologica, delineano un futuro grigio per le giovani generazioni. Probabilmente la crisi pandemica finirà, la crisi climatica registra quello sforzo positivo per prevenirla, quello che il mio modesto angolo di osservazione non riesce a percepire è il senso di responsabilità umana e sociale non solo dei potenti, ma di tutti coloro che nel loro piccolo ambito relazionale potrebbero contribuire a costruire, nel presente e per il futuro, un mondo migliore. Nonostante tutte queste incertezze globali, credo che chi vive il momento fecondo del tramonto esistenziale debba recuperare, con la saggezza dell’esperienza vissuta, il coraggio e l’urgenza di un sogno, quello stesso sogno che i reduci di Sion percepirono quando il Signore li fece tornare dalla schiavitù. Il salmo 126 ci ricorda che in tutti i momenti bui della storia umana Dio non è stato inerte, ma è stato un Dio sognatore, ha sognato la trasformazione del mondo e l’ha realizzata nel mistero della risurrezione. È, questa, una lettura utile non solo per i credenti, ma per tutti coloro che avvertono il bisogno di porsi degli interrogativi. Ai nostri nipotini, distratti e impauriti, dobbiamo dire che vogliamo davvero sognare un mondo nuovo e più aperto in cui il bene di tutti – nessuno escluso – sta a cuore a ciascuno. A tal proposito ci appare luminoso il grande sogno di Giorgio La Pira di una pace generata dall’abbraccio non solo ideale dell’unica famiglia umana, che vede nel Mediterraneo la culla del dialogo e di inclusività: ciò che è avvenuto ed avviene ancora in Afghanistan suggerisce proprio la necessità di ripensare in modo fraterno le forme e gli strumenti del dialogo e della cooperazione internazionale per promuovere occasioni di colloquio e confronto a tutti i livelli della vita sociale. Ai nostri giovani – in famiglia, nelle scuole, in parrocchia – dobbiamo imparare a coltivare insieme questi sogni: ce lo ha ricordato, alcuni giorni fa, anche il presidente Mattarella quando ha affermato che “le cose impossibili diventano possibili con la solidarietà”. Se coltiviamo efficacemente i sogni rafforzando i legami tra le persone, le relazioni di reciprocità, i luoghi ed i momenti generativi di fiducia e di speranza anche la ricorrenza di un compleanno giovanile è uno di questi momenti, senza escludere la torta e lo spumante. Ai nostri giovani disorientati, con garbo e pazienza, dobbiamo dire che – come fu per i discepoli impauriti sulla barca in mezzo alla tempesta – il Signore è con noi e sogna anche per loro un futuro migliore: i nonni possono e devono essere anche risorsa sociopedagogica di nuova speranza perché sono i più credibili ed efficaci.
di Gerardo Salvatore