Si carica di un valore forte la pubblicazione, a dieci anni dalla morte, dei diari di Bruno Trentin, sindacalista capace come pochi di lasciare un segno nella storia del paese. Una pubblicazione, curata da Iginio Ariemma, fortemente voluta dalla moglie Marcelle Marie Padovani e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio in collaborazione con la Cgil. Gli anni dei diari sono quelli compresi tra il 1988 e il 1994, uno spazio che ricostruisce anni cruciali nella storia del paese, a partire dalla Conferenza programmatica dell’aprile 1989 quando Trentin è già diventato segretario della Cgil e più forte è lo sforzo di rinnovare il sindacato, superando qualsiasi steccato ideologico, in difesa dei diritti dei lavoratori. Sono gli anni del crollo del comunismo e insieme dello scioglimento del Pci, Trentin li vive con amarezza ma anche con un grande senso di responsabilità e coraggio. Teme una svolta improvvisata ma non è mai un catastrofista, collabora alla stesura della mozione di maggioranza, crede nella possibilità di un cambiamento che riunisca le diverse anime del partito, senza scendere, però, al compromesso. Sottolinea più volte come l’obiettivo del Partito Democratico della Sinistra non possa essere l’accesso al governo, di qui la necessità di definire un programma che preceda il Congresso, un programma che finirà con l’essere modificato fino a perdere la sua essenza. “E’ finito – scrive nelle pagine di diario – il brutto congresso di transizione dal Pci al Pds. Povero e trasformistico nella sua introduzione e nelle sue conclusioni. Un riflesso puntuale dell’impoverimento culturale e persino della regressione che contrassegna questa fase politica della sinistra –fra fondamentalismo mal digerito e pragmatismo irreparabile del trasformismo e da una logica di pura conversazione del consenso –potere”. Sono gli anni della guerra nel Golfo, dell’inasprimento dei conflitti in Medio Oriente ed è lo stesso Trentin a sottolineare come le due emergenze del momento, la crisi del Pci e il rischio di un conflitto contro l’Iraq finiscano per intrecciarsi:“Il conflitto che si riapre all’interno del Pci – scrive Trentin – finisce poi per togliere ogni dignità alla lotta politica per scongiurare la guerra nel Golfo: non è conflitto fra proposte politiche realistiche, davvero dettate dalla volontà di incidere sugli avvenimenti e di spostare l’equilibrio fra gli schieramenti che si confrontano. Il ritiro o meno della navi diventa una diatriba farsesca quando appare a tutti che la posta in gioco non è la pace nel Golfo ma il congresso nel Pci”. Anche il programma di trasformazione del sindacato, discusso e approvato nel Congresso di Rimini del 1991 si fa espressione del desiderio forte di cambiamento, di una riforma sociale e civile “la strada da percorrere sino in fondo – spiega Trentin – è quella del sindacato dei diritti. Di una nuova carta di diritti di cittadinanza con oggetti radicalmente diversi dai capisaldi consunti della democratizzazione del rapporto di lavoro degli anni ‘60”. Ad emergere ancora una volta è l’aspra battaglia sindacale con cui il segretario della Cgil deve fare i conti “piena di trabocchetti. – commenta con amarezza – Bertinotti è requisito e scavalcato dagli avventurieri che guidano Rifondazione e da relitti di Dp. Questo lo porta a schierarsi per le scelte più meschine e più disperate come l’invenzione di una linea alternativa sulla piattaforma della Cgil per la trattativa di giugno, invocando una consultazione di tutti i lavoratori, con un mandato vincolante e predisponendosi a sabotare la Conferenza unitaria di 1200 delegati”. Trentin non accetta “la contrattazione fine a sé stessa, senza obiettivi e senza regole, senza scala di valori, senza gerarchia di priorità, senza gradualità”. Né lo spaventa “la pratica della concertazione o se si vuole lo scambio di volontà, di intenzioni, di comportamenti o di disponibilità alla verifica in corso d’opera, che sempre più è destinato a sostituire lo scambio di quantità certe”. Durissimo sarà, dunque, lo scontro sia con quella parte del sindacato che guarda a Bertinotti, che con gli uomini di Ottaviano Del Turco, deciso a riunire socialisti ed ex comunisti e scalzare Trentin dalla guida del partito. Al tempo stesso ammetterà più volte nelle sue riflessioni il rapporto complesso con Pietro Ingrao, sul piano delle idee: “Sento una distanza tra le mie riflessioni e il suo rifugio in una sorta di profetismo didascalico che lo porta a rimuovere ogni vero confronto con il presente”. Più volte toccherà con mano la poca coerenza degli avversari, decisi a difendere le baronie di potere più che le idee: “Programmi, principi, obiettivi rivendicativi e persino analisi politiche e sociali valgono soltanto in quanto grimaldelli occasionali di questa lotta di potere. In questo colgo un fallimento almeno parziale del tentativo operato a Rimini e a Chianciano. La resistenza a navigare in mare aperto con la sola forza delle idee e con la sola sanzione di una verifica nei fatti degli effetti che queste idee-programma potranno determinare nel vissuto quotidiano della gente, è stata più forte sino ad ora, di quelle idee e di quei programmi, proprio perché essi rimettevano necessariamente in questione rendite di potere, guarantigie personali, vecchi collateralismi”. Malgrado i colpi incassati, non smetterà mai di difendere il diritto al lavoro, centrale in ogni società, ribadendo la necessità che i lavoratori siano in prima linea nella gestione dell’organizzazione produttiva e nel controllo delle condizioni di lavoro in quella che definisce una “compartecipazione progettuale”. Trentin è convinto che ciascuno, dall’ingegnere all’operaio debba dare il proprio contributo nel portare avanti un’azienda. Democrazia è per lui partecipazione nei luoghi di lavoro, costruzione quotidiana contro la corruttibilità del potere politico. “Per Trentin – scrive il curatore Iginio Ariemma –la politica ha senso e valore se contiene e persegue un progetto di società. Non può limitarsi alle strategie e tattiche per l’accesso e per la gestione del potere…Il timore della deriva trasformistica è molto presente in questi diari. Una deriva che non si interrompe e non si batte, secondo lui, attraverso la difesa di un’astratta identità, tanto più se passata e perduta, ma tramite nuove categorie di ricerca, nuovi programmi, nuovi uomini”. C’è in lui, sottolinea più volte Ariemma, la ricerca costante del nuovo, la capacità di confrontarsi con i processi che attraversano il reale, finalizzata alla liberazione del mondo del lavoro. Inevitabili anche i riferimenti alla lenta affermazione della destra di Berlusconi “La competizione elettorale – scrive il segretario della Cgil – si inasprisce e assume aspetti sempre più preoccupanti. La manipolazione dei media e soprattutto della televisione si intreccia con l’emergere della società ludica e violenta del voyeurismo calcistico quale protagonista del conflitto politico e tutti e due questi processi mettono in campo un sottofondo di cultura dell’individualismo violento, della competizione sportiva come transfert e sublimazione collettiva e una sottocultura dell’efficienza con la quale la sinistra ha lungamente civettato e che ha finito con l’attraversarla”. Trentin non risparmierà critiche allo stesso Ciriaco De Mita e al governo nel 1988, colpevole di aver varato un decreto fiscale, senza consultare nessuno “Il Governo ha deciso di varare per decreto le sue manovre sull’Irpef, il condono fiscale e l’aumento dell’Iva, senza toccare i contributi sociali: senza nemmeno avvisare i sindacati. Prevedo effetti disastrosi anche sul fronte dell’inflazione. De Mita si conferma come un governante goffo, incompetente e pieno di arroganza. La sua è la spocchia dei parvenus. Non appena pensa di potere fare un colpo di forza diventa pericoloso perché non è neanche un decisionista avveduto. Un abisso nei confronti di Craxi che sapeva dosare le sue sfide e cercava di modulare le sue scelte, tenendo conto delle ragioni dei suoi interlocutori e dei suoi oppositori. Spero che le sue decisioni…determinino una reazione adeguata”.
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