La fine dell’emergenza sanitaria e una favorevole coincidenza cronologica potrebbero innescare un ciclo virtuoso per la politica europea, fino a ieri azzoppata dal dilagare dell’epidemia nel Continente e mortificata dalle avvisaglie della inedita guerra fredda Usa-Cina. Una finestra di opportunità si è aperta con l’annuncio del piano di rilancio economico predisposto da Bruxelles per complessivi 750 miliardi di euro (di cui 127 destinati all’Italia), e con la conferma che, da calendario, toccherà ad Angela Merkel guidare il prossimo decisivo semestre (inizia il primo luglio) nel quale le istituzioni europee – Commissione, Governi e Parlamento – dovranno dar seguito agli annunci e varare gli investimenti necessari per rimettere in carreggiata le economie dei 27 paesi. Dovrà vedersela con l’opposizione degli autodefiniti “frugali” (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) cui si è aggiunta l’antieuropea Ungheria Per l’Europa si tratta di un appuntamento storico: o riesce, come è stata capace di fare in altre circostanze critiche, a compiere un balzo in avanti sul terreno dell’integrazione interpretando un ruolo di protagonista politico nel panorama internazionale, o ripiegandosi su se stessa, diventerà terreno di spartizione delle grandi potenze che emergeranno dalle macerie degli ultimi mesi. La cancelliera è consapevole della gravità del compito che l’attende: parlando pochi giorni fa ai rappresentanti del suo partito ha detto che l’Europa è pronta ad assumere una maggiore responsabilità globale nelle relazioni con gli altri attori geopolitici – Stati Uniti, Cina e Russia –, decisi a contendersi posizioni di preminenza nel mondo post-Covit 19. Ha previsto un periodo di relazioni “turbolente” con gli Stati Uniti di Trump, impegnato in una campagna elettorale senza esclusione di colpi; e ha disegnato un ruolo autonomo dell’Europa verso Cina e Russia, non subalterno ma neppure pregiudizialmente conflittuale. Coesione e solidarietà saranno le parole chiave del semestre. Il presidente dell’Europarlamento David Sassoli si è detto certe che “la prossima presidenza tedesca sarà al centro della ricostruzione europea” e che da essa uscirà un’Europa “più forte, capace di affrontare le sfide del mondo globale, di collaborare e di proteggere lo spazio europeo”. Il piano di rilancio annunciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen è la base economica sulla quale costruire l’edificio della nuova Europa in uscita dalla crisi. Si tratta, insieme agli altri strumenti finanziari già annunciati dalla Bce, dalla Banca europea degli investimenti e dal Fondo salva Stati, di un complesso di misure di dimensioni ragguardevoli, che spostano verso una maggiore integrazione il baricentro dell’Euopa unita. Se l’obiettivo sarà raggiunto, si tratterà della migliore risposta comune alla crisi della Brexit; ma si dovrà pur comprendere che il percorso indicato dalla Commissione e che Angela Merkel si impegna a completare, non è privo di ostacoli né di conseguenze sulle politiche di bilancio dei singoli paesi, a cominciare dai destinatari della parte più consistente delle risorse promesse o stanziate. In sostanza, la solidarietà finanziaria promessa dall’Europa va guadagnata anno per anno dagli Stati beneficiari, che dovranno presentare alla Commissione un cronoprogramma di riforme verificabili e di obiettivi da raggiungere, pena la sospensione delle rate di trasferimento. “La coerenza non è una strada a senso unico”, aveva già detto la Merkel quando, un mese fa, si era cominciato, nel Consiglio europeo, ad abbozzare il “Recovery fund” richiesto a gran voce dall’Italia. Voleva dire che a fronte di denaro fresco proveniente dall’Europa, ci deve essere un’ade – guata assunzione di responsabilità. Insomma, sarà difficile, per dire, che domani a Bruxelles si accontentino di un progetto di bilancio italiano che preveda ancora una volta entrate da condoni o da generici recuperi di evasione fiscale. Alla luce di queste considerazioni, il dibattito in corso in Italia sull’opportunità o meno di ricorrere ai finanziamenti del Fondo salva Stati, disponibili prima del “Re – covery fund” ancora in costruzione, appare del tutto inconsistente.
di Guido Bossa