A un mese dalla sua scomparsa, voglio ricordare mio marito Giancarlo Nebbia, un uomo che non invecchiava perché aveva degli ideali e diceva che l’utopia è importante per vivere per camminare, per migliorare il mondo. Nonostante avesse 81 anni credeva che non bisognasse mai scoraggiarsi e che bisognasse lottare per gli ideali in cui si crede.
I media ci veicolano in continuazione un messaggio che dice che non c’è niente da fare, che niente può cambiare e che bisogna adattarsi. TINA ( There is no alternative – non c’è alternativa di tathcheriana memoria), un messaggio che dice che non c’è alternativa al capitalismo e a tutto ciò che di disumano esso comporta. Il TINA che il linguista e filosofo Noam Chomsky considera una forma di dittatura. L’idea opposta è che l’uomo è il solo soggetto della storia, della sua storia come della storia del mondo.
Giancarlo non si è mai lasciato convincere da questo dogma e ha lottato tutta la vita. In fabbrica a Pomigliano, nella CGIL, nel PCI e pensava che bisognasse essere istruiti e ben informati per lottare per i diritti.
Era innamorato della vita e della natura. Qui in Irpinia, con grande passione aveva mappato tutti i monti irpini e quando si trovava in montagna faceva il riconoscimento delle erbe officinali che conosceva benissimo. Insieme a Ida Gennarelli ha fondato Lega Ambiente e insieme ad Angelo Rosapane ha fondato il CAI di Avellino di cui è stato presidente per 5 anni. Era per lui importante tutelare l’ambiente perché le risorse ambientali come l’aria, l’acqua, le specie vegetali e le specie animali sono limitate e l’uomo, inevitabilmente, le consuma, con effetti talvolta distruttivi. Pensava che la protezione dell’ambiente fosse una questione che riguarda il benessere e lo sviluppo dei popoli.
Aveva interessi culturali a 360 gradi. Si era appassionato alle filosofie indiane e praticava lo yoga che ha insegnato ad altri. Voleva sentirsi in armonia con l’Universo in antitesi al capitalismo che ci vuole vedere in competizione uno contro l’altro, poveri, contro poveri. Aveva un grande rispetto del vivente ed era vegetariano, non solo perché aveva empatia per i poveri esseri senzienti sacrificati, ma anche perché combatteva contro l’inquinamento del pianeta.
Credeva nel “noi” anziché nell’universo individuale, unico valore di questa società contemporanea. Nutriva la speranza. Leggeva tantissimo e studiava fino a poco prima che una caduta accidentale in montagna ponesse fine alla sua vita. Il messaggio che Giancarlo lascia ai giovani è di non rassegnarsi.
Di Giuseppina Buscaino