Muovo da una confessione. Il Partito Democratico, in quanto incontro e sintesi nuova e originale della cultura marxista e di quella più autenticamente cristiana e solidarmente cattolica, è stato il sogno della mia vita. Il corso degli eventi e la effettiva realtà politico-culturale del partito democratico in terra d’Irpinia – e non solo – ha voluto che il mio sogno non si avverasse; ora, per me, è troppo tardi per tutto. Perché mai? Forse e senza forse le ragioni si possono riassumere con un amara battuta che feci nel 2010. Fin da giovane, mi riconoscevo in Berlinguer e nel suo progetto di socialismo nella libertà e nella democrazia, ma ammiravo anche Moro, la sua capacità di mediare i contrastanti interessi della società italiana per realizzare, come lui diceva, “un ordinamento sociale libero e progressivo”. Il corso degli eventi e la effettiva realtà politico-culturale del partito democratico in terra d’Irpinia – e non solo – ha voluto che il mio sogno non si avverasse; ora, per me, è troppo tardi per tutto. Perché mai? Forse e senza forse le ragioni si possono riassumere con un amara battuta che feci nel 2010 quando non fui ricandidato al Consiglio regionale: “Ero privo dei requisiti minimi di corruttibilità”. Non scordai però che Fortebraccio, l’indimenticabile corsivista dell’“Unità”, -che così distingueva Aldo Moro da Flaminio Piccoli: “Moro è uomo di alta cultura, Piccoli di alta montagna” – mi aveva insegnato che in “in politica le biografie non contano”. Conta però, eccome, per la sinistra e le forze democratiche la “questione morale” che Berlinguer aveva proposto” con tanta angosciata forza nell’intervista del 1981 ad Eugenio Scalfari, Direttore della “Repubblica”, denunciando l’occupazione da parte dei partiti di governo e delle loro correnti di tutte le istituzioni dello Stato, università, banche, giornali compresi. E aveva concluso sconsolato: “Il risultato è drammatico”. Non a caso, Moro nel 1969 aveva avvertito il suo partito, la DC, che stava imboccando una strada di degradazione moral-clientelare: “Ci deve essere, più in fondo, una ragione, un fondamento ideale e morale, una finalità umana per cui ci si costituisce in potere e il potere si esercita. Al di fuori di essi, al di fuori del rispetto di un criterio di moralità, un partito cessa (…) di essere un punto di riferimento efficace e viene meno alla sua attitudine a prospettare ideali credibili”. Ecco, è proprio la “questione morale” ciò che il PD, con i suoi metodi di governo, al centro e in periferia, si è troppo volte messo sotto i piedi. Al punto che non ha avuto il coraggio neppure di candidare una personalità autorevole della lotta contro la mafia e il crimine organizzato. Nel paese della mafia, dell’affarismo dell’evasione fiscale milionaria, il nemico sono diventati i percettori del reddito di cittadinanza. Vergogna, ancora vergogna! Ci si meraviglia poi che abbia vinto Giorgia Meloni che, se non è fascista, è una conservatrice- reazionaria che governa in coerenza con le proprie idee. Dopo la tremenda sconfitta elettorale ci si augurava che ci fosse un atto di resipiscenza, un’analisi critica ed autocritica, la ricerca di un nuovo inizio. Macchè. Siamo alla babele dei candidati, ben quattro. I quali, per come si beccano fra loro, sembrano, involontariamente, somigliare ai “polli di Renzo”. E’ facile prevedere che per questa via si va solo al disastro, cioè alla dissoluzione del PD. Sarebbe invece un gran bene che il PD, a seguito di un ampia approfondito dibattito, ridefinisse con una carta fondamentale di pochi, chiari e significativi, punti la sua identità. Sarebbe il presupposto di un dibattito non personalistico tra i candidati alla Segreteria.
di Luigi Anzalone