di Michele Vespasiano
Il “Rapporto Italiani nel mondo 2025” racconta una storia che conosciamo bene: i nostri paesi si svuotano. In dieci anni, la comunità italiana all’estero è cresciuta fino a 6,4 milioni di iscritti, quasi il 10% della popolazione nazionale. A partire sono sempre di più i giovani del Sud e delle aree interne, spinti dalla mancanza di lavoro, dai servizi carenti e da un senso diffuso di abbandono.
Campania e Sicilia sono tra le regioni più colpite, ma anche in Lombardia i piccoli comuni pagano un prezzo alto. Ogni famiglia che parte lascia dietro di sé case chiuse, scuole con sempre meno bambini e comunità che faticano a resistere. È il segno di una politica che, troppo spesso, dimentica i territori più fragili del Paese.
Eppure chi parte non dimentica le proprie radici. Siano o no muniti di laurea, gli italiani all’estero portano con sé la lingua, la cultura e il senso di appartenenza ai propri luoghi. Sono ambasciatori del “saper fare” italiano, della cucina e dei prodotti della nostra terra e contribuiscono alla nostra economia, all’export e all’innovazione.
Per invertire la rotta servono politiche su misura per i piccoli comuni. Non si può applicare la stessa ricetta a tutta l’Italia: i paesi dell’entroterra hanno bisogno di regole flessibili, di deroghe per tenere aperte le scuole, rafforzare gli ospedali, migliorare viabilità e trasporti e la connessione digitale.
Ma serve anche lavoro stabile, investimenti in infrastrutture, investimenti in cultura, turismo sostenibile, rispetto per il paesaggio, agricoltura di qualità e piccole imprese innovative possono dare nuove prospettive a chi oggi pensa di partire.
Infine, non bisogna spezzare il legame con chi è andato via. I nostri emigrati sono parte viva della comunità: molti sognano di tornare o di mantenere un legame concreto con il proprio paese d’origine. In questo senso, la recente legge 74/2025, che limita la cittadinanza iure sanguinis alla seconda generazione, rischia di allontanare ancora di più le nuove generazioni dall’Italia.
Rimettere al centro i paesi dell’entroterra significa dare futuro al Paese intero. Perché ogni borgo che si svuota è un pezzo d’Italia che si perde, ma ogni giovane che resta o che torna può essere l’inizio di una rinascita.
Già parlarne in campagna elettorale servirebbe!



