Le porte del suo studio erano aperte anche di notte. Lo sapevano i pazienti che si rivolgevano a lui per ogni necessità, rincuorati dalla sua umanità e competenza, certi che li avrebbe visitati a qualsiasi ora del giorno. Si spegneva il 28 gennaio del 2004 Antonio Volpe, per anni medico condotto di Paternopoli, interprete di una medicina fatta di fatica quotidiana, di spirito di sacrificio e senso di responsabilità, di attenzione ai bisogni del paziente.
Allievo modello, non aveva avuto dubbi sulla scelta della facoltà di medicina. Dopo le scuole elementari a Paternopoli, gli studi presso uno zio vescovo a Baronissi, e il diploma al liceo Colletta, nella stessa classe di Fiorentino Sullo, ei era laureato in medicina a Napoli, allievo di professori come Quagliariello, Maggio, Torraca. Aveva cominciato la specializzazione in ostetrica, per poi abbandonarla, non avendo i soldi sufficienti e volendo garantire al fratello la possibilità di studiare medicina. Quindi l’incarico di medico condotto a Paternopoli, nel quale si era conquistato presto la fiducia dei pazienti. Lo vedevano ogni giorno all’alba partire da casa sul dorso di un mulo per raggiungere le famiglie degli ammalati, attraversando torrenti, costeggiando burroni, che si trattasse delle contrade rurali di Paternopoli o di Castelfranci, di Gesualdo o Torella. Molteplici le patologie con cui doveva fare i conti, tetano, ittero, cirrosi, fino a malattie tipicamente rurali. Per lui, formatosi alla scuola del medico Santella, era fondamentale la semeiotica medica, l’insieme dei segni e sintomi che caratterizzano una malattia, a cui si accompagnava la formulazione di ipotesi che dovevano poi essere confermate da esami strumentali. Abituato a medicare sul posto qualsiasi tipo di ferita, difficilmente prendeva in considerazione l’idea del ricovero. Lo sapevano bene all’ospedale di Avellino, quando lo vedevano arrivare erano certi che si trattasse di qualcosa di serio, “Fate preparare la sala operatoria, che sta arrivando il dottor Volpe” era solito ripetere il dottore Malzoni.
Aveva sposato la giovane Maria Cappuccio, studentessa all’Orientale di Napoli, conosciuta a Posillipo e per lei non era stato certo facile abituarsi alla vita in un piccolo paese. Ma Maria ammirava quell’uomo che concepiva la medicina come missione. Da lei aveva avuto due figli, Linda e Pino, anche loro destinati a diventare ottimi medici, la prima pediatra e il secondo dermatologo. Era stato lo stesso Volpe a raccontare come più volte lo chiamassero per i parti “A Paternopoli una sola era l’ostetrica, per cui quando non riuscivano a indurre le doglie, non restava che rivolgersi al medico. Sono casi che oggi su risolvono col cesareo ma in passato nessuno aveva i soldi per un ricovero” Ai contadini che assisteva non aveva mai il coraggio di chiedere nulla “Mi bastava la loro stima e amicizia” era solito ripetere. Più volte aveva confessato come non fossero mancate cadute “lungo il tragitto sul dorso di un mulo. Tanto che una volta ho dovuto chiedere un abito per cambiarmi a un contadino prima di proseguire il cammino”.
L’altra sua passione era la politica, lo chiamavano Togliatti per la somiglianza con il leader politico. Ma le sue idee erano quelle democristiane, vicino a Scoca per poi sostenere il suo vecchio compagno di ballo Fiorentino Sullo e poi la Sinistra di base. Quindi la decisione di lasciare Paternopoli e la condotta medica e trasferirsi nel Comune di Mercogliano, convinto dal fratello Arturo, anche lui medico e sindaco. Dopo il terremoto avave aperto un suo studio medico ad Avellino e aveva continuato ad operare fino alla morte, occupandosi di medicina legale e collaborando con l’amico Fiore Carpenito. Il 12 aprile 1989 era stato premiato con la medaglia d’oro dalla Lega Italiana per la lotta ai tumori “per la profonda cultura e la grande umanità nell’espletamento della sua missione”. A sottolinearne le grandi qualità di medico l’amico Raffaele Sbrescia “Antonio Volpe ha interpretato la missione con spirito cristiano. Reperibile a tutte le ore, sempre pronto ad accorrere al capezzale di un malato, malgrado fosse infartuato da molti anni e gli acciacchi dell’età”. A rendergli omaggio anche il sindaco di Paternopoli Pietro Troisi “Instancabile lavoratore, vive ed opera come un sacerdote, come un soldato, come un missionario. Il ricordo della sua diuturna fatica è nel cuore di tutto il popolo. Quanti atti di coraggio per strappare dalla fatica pargoli innocenti, sposi felici, giovani madri”. Commosso il ricordo della moglie Maria “Un’anima nobile e generosa che ha dedicato la sua vita alla professione e alla famiglia”. “Arturo e Antonio erano imbattibili, – spiega il medico Gianpaolo Palumbo – Arturo utilizzava nella sua professione la pacca sulla spalla, la parola diretta, Antonio la gentilezza del tratto, il suo sorriso di uomo buono e mite che condivide la sofferenza. Paternopoli dovrebbe ricordarlo come merita”. Due figure, quelle di Arturo e Antonio Volpe, che appaiono certamente un esempio per le nuove generazioni