di Pellegrino Caruso
Alberto Granese e’ tra gli studiosi che hanno maggiormente riflettuto sull’eredità morale e culturale di Pierpaolo Pasolini, come nel numero monografico di “Sinestesie”, “Una disperata vitalità. Pierpaolo Pasolini a cent’anni dalla nascita 1922-2022”, pubblicato grazie a Carlo Santoli, impreziosito da un saggio introduttivo a cura dello stesso Granese e di Luigi Montella. Il 1953 fu anno del dopoguerra in cui Pasolini immagino’ di interrogare nel cimitero inglese di Roma “Le ceneri di Gramsci”, rivelandosi sempre pronto a captare i fermenti del suo tempo. Egli elaboro’ così delle terzine dalla chiara ascendenza dantesca in cui contrapponeva la parte istintiva del suo cuore e delle sue passioni a quella razionale dell’intellettuale comunista. La scissione è tutta in Pasolini, che ebbe l’onore di essere recensito proprio da quel Gianfranco Contini, filologo dantesco che, più di tutti, aveva visto nella Divina Commedia una doppia natura. Non va dimenticato che Pasolini è stato soprattutto un poeta, come ebbe in primo luogo a dichiarare Alberto Moravia, in apertura del discorso funebre che pronunciò per lo scrittore. La sua è una poesia complessa, che risente tanto della tradizione dantesca quanto del contesto sociale di un tempo dominato da industrializzazione, consumismo e omologazione, fenomeni che Pasolini negli anni tra il ’73 ed il ’75 criticò con decisione. Era un mondo nuovo che rischiava di distruggere lentamente quel passato, a cui egli guardava costantemente. Tale tensione non deve essere vista come elemento regressivo ma come legame con le radici, testimoniato dall’uso costante del dialetto, dal romanesco al friulano, per opporsi al “ genocidio” della tradizione. L’ intellettuale friulano si dedico’ anche al cinema, acquisendo una notevole fama internazionale. Il suo è un cinema che guarda al mito greco, da Edipo a Medea fino alla civiltà mediterranea, intrisa di cultura antropologica. Il mito, per dirla con Jung, diventa archetipo dell’inconscio collettivo mentre la psicanalisi, con una funzione analoga a quella dell’archeologia, scava, come disse Freud, nell’animo umano. Centrale nell’ universo pasoliniano è anche il sacro, perché in lui “ Tutto è sacro”, come si sottolineò nella mostra romana a lui dedicata. Il cinema, con la sua rappresentazione diretta del reale, si presentava come il linguaggio privilegiato per accedere a questa sacralità. Basti pensare al film ” Il Vangelo secondo Matteo” apprezzato anche dai teologi dell’ Università Pontificia, in cui ritroviamo un messaggio cristiano concreto, ad opera di un evangelista, esattore razionale delle tasse e della Verità, nel cui Vangelo sono rievocate quelle Beatitudini tanto care pure al Dante del Purgatorio e che sono grande paradosso secondo cui gli ultimi saranno i primi! Una costante pasoliniana fondamentale è il profondo legame con la cultura mediterranea , confermata anche dal trasferimento cinematografico del “ Decameron “ di Boccaccio da Firenze a Napoli e dalla calda stima per Eduardo De Filippo. Pasolini seppe usare la macchina da presa come una penna e volle portarla con sé, a spalla, perché potesse meglio raccontare la realtà che osservava con i suoi occhi. Poeta, romanziere e sceneggiatore, Pasolini fu anche cultore della musica sacra di Bach che riprese sia nelle scene del“ Vangelo secondo Matteo” quanto in scene di violenza di “ Accattone”, a dimostrazione di quella “ disperata vitalità” che sentì propria per tutta la vita. Sino al postumo romanzo “Petrolio” persistono i molteplici temi della produzione pasoliniana , dai richiami alle bolge dantesche a un protagonista che perde la sua solidità per essere, sempre e comunque , “scisso”. Di Pasolini resta essenzialmente l’esercizio del dovere e della ragione, in merito a quella civiltà italiana che egli analizzò in quegli articoli confluiti negli “Scritti corsari” e nelle “ Lettere luterane”. Forte fu anche il legame con la figura di San Paolo che trovò come lui la morte sulla via per Ostia, quasi alla stessa età! San Paolo come Bernardo da Chiaravalle ed i mistici del Medioevo incarnano, per Pasolini, quel dualismo presente nella Chiesa, fatto di fede ma anche di potere. Profonda fu l’ ammirazione del friulano per i luoghi del meridione, come si evince da “La lunga strada di sabbia”, romanzo fatto di memorie di viaggio lungo le coste di Italia, da Nord a Sud, per risalire sull’Adriatico. Pasolini ci racconta, così delle “ lastre di ghiaccio” fatte della luminosità delle grotte di Capri, della Costiera Amalfitana, mentre si fa sempre più forte in lui il desiderio di penetrare nella profonda “ notte meridionale”, sino alla punta della Sicilia, dove l’eclettico intellettuale decide di fare un bagno notturno nelle acque del mar Ionio, per lui diverso dagli altri, perché ha in sé quel “sub-umano” che riconduce a quel mare foscoliano “onde vergine nacque Venere”, centro della civiltà greca, segno psicanalitico di un ritorno al liquido amniotico, alle radici da cui traiamo linfa culturale. Pasolini si distingue come genio profondo ed inquieto, che in un’intervista al “ New York times “ del 1969 diceva di essere arrivato nel “ calderone” di Roma ancora “fresco della campagna, pulito, onesto”, subendo così un vero e proprio trauma umano che volle raccontare in “ Ragazzi di vita”.