“Mi chiudevano a chiave in una stanza dove avevo a disposizione una bacinella o qualcosa di fortuna per andare in bagno, ”. E’ uno degli episodi più significativi della denuncia per maltrattamenti presentata all’epoca dei fatti alla Squadra Mobile di Avellino nei confronti di una coppia accusata di maltrattamenti nei confronti del figlio adottivo, oggi maggiorenne e di origine est-europea. Al centro del procedimento, una serie di gravi episodi di presunto abuso domestico, che il giovane ha raccontato in aula
Adottato all’età di cinque anni, il ragazzo ha riferito di aver vissuto per anni in un clima familiare vessatorio, segnato – secondo quanto denunciato – da punizioni umilianti e privazioni ingiustificate. Tra le accuse più gravi, l’essere stato rinchiuso a chiave in una stanza priva di servizi igienici, costretto a ricorrere a recipienti di fortuna o, nei casi più estremi, al balcone dell’abitazione. La casa, ha affermato, veniva utilizzata anche come deposito di rifiuti, ad eccezione dei momenti in cui era presente il cane di famiglia: solo allora gli sarebbe stato concesso di uscire.Il giovane ha inoltre raccontato di essersi definitivamente allontanato dalla famiglia nel luglio del 2021. Da quel momento avrebbe trovato inizialmente ospitalità presso conoscenti, per poi stabilirsi in un’abitazione in affitto ad Avellino.
Nel corso della deposizione, resa davanti al collegio presieduto dal giudice Gian Piero Scarlato, il testimone ha risposto alle domande del pubblico ministero Cecilia Annecchini, del proprio legale Gerardo Santamaria e degli avvocati difensori, Antonio Iannaccone e Carolina Schettino.
Secondo quanto riferito, la dinamica all’interno del nucleo familiare sarebbe stata fortemente sbilanciata: “All’inizio mio padre era benevolo, ma con il tempo ha iniziato ad agire sotto l’influenza di mia madre”, ha dichiarato. Quest’ultima, sempre secondo la sua versione, avrebbe assunto atteggiamenti ostili nei suoi confronti, arrivando addirittura – a suo dire – ad aizzare il cane contro di lui, provocandogli lesioni.
Nel corso dell’udienza, il ragazzo ha ammesso di aver mostrato comportamenti problematici fin dall’infanzia. Su questo punto si fonda la linea difensiva dei genitori, i quali sostengono di aver agito con finalità correttive ed educative. “Cercavo sempre di rimediare – ha affermato il giovane – chiedevo scusa, soprattutto a mia madre”.
Incalzato dalla difesa, ha precisato che i genitori lo accusavano di furto, motivazione che, a loro dire, giustificava l’isolamento forzato nella stanza. Tuttavia, ha negato di aver sottratto oggetti di valore, sostenendo di aver preso solo il cellulare per intrattenersi.La difesa, in particolare l’avvocato Carolina Schettino, ha incentrato la propria strategia sul carattere educativo delle condotte contestate, sottolineando il tentativo dei genitori di stabilire regole all’interno di un quadro familiare complicato. Durante il controesame, ha chiesto al giovane di elencare le restrizioni che riteneva ingiuste, ricevendo una panoramica delle limitazioni imposte. È stato infine chiesto se, durante le difficoltà giudiziarie avute in età adolescenziale, avesse ricevuto supporto dalla famiglia: il ragazzo ha confermato il loro coinvolgimento.Il processo è stato aggiornato al 4 novembre, data in cui verranno ascoltati i testimoni citati dalla parte civile.