E’ la città di Napoli ad accendere i riflettori su Giovanni Balducci, “un manierista dimenticato dalla storia tra Firenze, Roma e Napoli”. All’artista è dedicato lo studio, pubblicato dalla Gesualdo edizioni, di Francesco Caloia, critico d’arte, già dirigente scolastico, da anni impegnato in un percorso di ricerca e valorizzazione del patrimonio storico-artistico dell’Irpinia. Il volume sarà presentato il 20 ottobre, alle 11, nella chiesa della Graziella di Napoli. A confrontarsi con l’autore, che ha voluto ricordare nella dedica dell’opera la madre Vittoria Genua, Leonarda Bongo, architetto e docente di storia dell’arte, Michele Ciasullo, presidente Università popolare dell’Irpinia, Michele Zarrella, presidente Istituto Italiano di studi gesualdiani.
Un itinerario che non solo restituisce il suo posto nella storia a un artista per troppo tempo messo da parte, ma che si fa anche ricostruzione attenta del passaggio tra Rinascimento e Barocco. A guidare Caloia, come sottolinea Leonarda Bongo, l’amore per la verità storica. Grande l’attenzione rivolta al contesto storico in cui si forma Balducci con l’instancabile ricerca di documenti e fonti di ogni genere per ripercorrere le vicende personali e le opere dell’artista. Colpiscono la scrupolosa ricerca di fonti storiche e la capacità di Caloia di riscoprire opere dimenticate di Balducci, a conferma della passione per l’arte che guida da anni l’autore nell’impegno di storico e critico d’arte. Ad emergere il ritratto di un’intera epoca e di una costellazione di artisti, in molti casi poco conosciuti, che hanno contribuito alla divulgazione dell’arte tra manierismo e barocco, in particolare nell’Italia meridionale. “Caloia, innamorato della bellezza di cui l’uomo è capace – scrive Bongo – cerca con la curiosità di un neofita la conferma alle proprie ipotesi. Imbattersi in artisti apparentemente minori e poi scoprirne lo spessore, riconoscere la fitta rete di relazioni, con committenze ed altri colleghi nelle più famose corti rinascimentali dell’Italia, è ancora oggi emozionante, in un tempo in cui sembra si sia già detto tutto di tutti”.
A prendere forma una lettura ben precisa del momento di passaggio tra una stagione e l’altra, l’autore “intende il manierismo non solo come espressione della crisi dei valori della società postrinascimentale ma fondamentalmente come testimonianza dell’individualismo in arte, movimento che prelude sotto molti aspetti all’arte del Novecento, l’inizio del modo moderno di essere artisti nella libertà di espressione e invenzione”.
Un itinerario che sorprende per ricchezza e varietà, dagli affreschi del chiostro del Carmine Maggiore a Napoli, ancora non visibili al pubblico, alle opere eseguite nei piccoli centri meridionali, da Velletri a Maddaloni e Bitonto, lontano dalla grande regia degli artisti manieristi o barocchi. Fino all’ipotesi che abbia realizzato il primo tipo iconografico di angelo custode, conservato nella Pinacoteca dei Girolamini a Napoli. Caloia evidenzia come Balducci “pur aderendo ai dettami della Controriforma Cattolica, seppe mediare tra regole e novità, tra compostezza e nuovi colori, tra capacità empatica di esprimere affetti, corrispondenze di amorosi sensi e la modernità: La sua permanenza a Napoli fu fondamentale per l’arricchimento del contesto culturale del Meridione e la sua preparazione alla futura stagione del Barocco”. Ad impreziosire il volume la prefazione di Monsignor Tarcisio Gambalonga che si sofferma sulla tavola della Madonna del Rosario, conservata nella Chiesa della Madonna delle Grazie di Taurasi “Nel dipinto vi sono echi evidenti degli influssi di Giovan Battista Naldini, nella cui bottega fiorentina Giovanni si era formato ma anche dall’esperienza romana, soprattutto nella accurata resa dei personaggi di Casa Gesualdo raffigurati in basso nell’opera. Invece, il suo animo di credente, plasmato dalla religiosità controriformista, si coglie pienamente nella grande tela del Perdono gesualdino. Non è solo un dipinto ma un manifesto di richiesta di perdono per tutta l’umanità peccatrice, nel quale l’artista ha saputo interpretare benissimo l’angoscia per il timore della condanna eterna e di conseguenza l’ansia di perdono e di salvezza del principe dei musici Carlo Gesualdo che gliela commissionò nel 1609”. Gambalonga pone l’accento anche sulla presenza nei dipinti del santo Arcivescovo di Milano che si può leggere come una sorta di attestazione di stima dell’artista verso un prelato che aveva dato una risposta forte alle accuse mosse nei decenni precedenti dal mondo protestante, in materia di arte sacra.
Un percorso, quello di Balducci, detto il Cosci, dal nome di uno zio Raffaello Cosci, presso il quale fu cresciuto, segnato con forza dal contesto storico-sociale in cui si forma. Dai primi passi mossi a Firenze, dove fu allievo di Giovan Battista Naldini e seppe guadagnarsi i favori del cardinale Alessandro de Medici a Roma, dove seppe ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto nell’ambiente artistico locale per approdare, infine, a Napoli dove si trasferì nel 1596, dopo aver ceduto alle promesse del cardinale Alfonso Gesualdo e dove svolse un ruolo di primo piano nello scenario culturale.
E’ lo stesso Caloia a sottolineare come “Fu impegnato a rinnovare il patrimonio figurativo delle chiese del viceregno nello spirito di adeguamento e aggiornamento ai dettami conciliari, con particolare sottolineatura dei temi messi in discussione proprio dalla riforma protestante. in chiave stilistico-formale, egli seguì infatti le esigenze di semplicità spoglia e piatta, cara ai precetti della Controriforma. Produsse tantissime opere oggi disseminate nei più importanti musei del mondo e in tanti luoghi di culto, restando produttore di immagini al servizio della chiesa riformata, intenta a mettere in essere la prima grande campagna pubblicitaria della storia dell’umanità”. Anche se non manca l’amarezza per le tante opere andate perdute, dagli affreschi realizzati nel duomo di Velletri a quelli eseguiti al Palazzo Reale di Napoli o nascosti come i frammenti di parte della decorazione della tribuna del Duomo di Napoli o conservati in luoghi non aperti al pubblico come l’Oratorio dei Pretoni a Firenze o San Giovanni Decollato a Roma.