Non è affatto per nostalgia se oggi, recuperando dalla memoria un po’ di storia politica irpina, mi soffermo sui cambiamenti che si sono registrati in questi ultimi anni. E’ un invito alla riflessione, ma anche la necessità di una presa di coscienza. Ai più giovani, che oggi rifiutano la politica, o scelgono di percorrere strade con l’illusione di un falso cambiamento, sento il dovere di ricordare che c’era una volta in Irpinia una classe dirigente, fiore all’occhiello del Paese, e protagonista di se stessa. La storia ebbe inizio con Fiorentino Sullo, più volte ministro, politico arguto e competente, padre di leggi epocali dell’Italia repubblicana. Fu lui a tessere la rete formando dei giovani che avrebbero avuto successivamente le leve del potere. Scrivo mentre davanti agli occhi mi passano i volti di Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Salverino De Vito, Giuseppe Gargani e pochi altri che i libri di storia hanno definito, semplificando, “ i magnifici sette”. Sullo, colto e sospettoso, fece la fine di Kronos. Tuttavia ebbe il grande merito di aver allevato una generazione di notevole prestigio. Non così fu per i suoi successori. Il potere che essi avevano conquistato pur esprimendolo in grandi successi politici e sociali non diventò mai valore diffuso. Rimase chiuso fra i potenti che si limitarono a gestire in proprio senza far crescere una nuova classe dirigente. Il risultato è rappresentato dal deserto di oggi che genera confusione e personalismo ambizioso, come dimostra questa vigilia elettorale, in particolare al Comune di Avellino. E’ in questo deserto di classe dirigente, e nel potere asfittico e residuale, che l’Irpinia ha cambiato pelle. E’ diventata terra di conquista. Colonia di padrini che vengono da non molto lontano. Lo voglio ricordare a chi nel deserto endogeno invoca e trasformisticamente sale sui carri salernitani e sanniti, inneggiando ai nuovi conquistatori per futili e squallidi interessi.
di Gianni Festa