Di Vincenzo Fiore
Giovanni Preziosi nacque nell’ottobre del 1881 a Torella dei Lombardi, in provincia di Avellino, da una famiglia piccolo-borghese e profondamente cattolica, infatti, due dei suoi zii erano sacerdoti. La religione ebbe un ruolo cruciale nella sua infanzia, trasformandosi sin da subito in un assillo. Seguì brillantemente studi di teologia e di filosofia a Napoli e nel settembre 1904 prese anch’egli i voti. Nel cosiddetto periodo napoletano, entrò in contatto con personaggi quali: Giovanni Semeria, Giovanni Genocchi e Romolo Murri, dal quale si lasciò influenzare politicamente, aprendosi così al cristianesimo sociale.
Già qualche anno prima, durante la collaborazione con «La Patria», si rese protagonista di un’intensa propaganda a favore dei democratici-cristiani. Segno marcante del suo cattolicesimo era la sua non-dogmaticità, la sua apertura al darwinismo e alla «modernità». I suoi primi impegni politici furono intorno all’emigrazione e alla «questione meridionale», e coincisero con la fondazione della rivista: La vita italiana all’estero (1913).
Dopo l’abbandono della vita ecclesiastica e con lo scoppio del primo conflitto mondiale (1914), Preziosi si avvicinò sempre più a posizioni anti-giolittiane, facendosi fautore dell’interventismo. Con l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale (24 maggio 1915) a fianco dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia), le sue posizioni nazionalistiche si acuirono sempre più, facendosi apologeta dell’antidemocraticità. La sua avversione per il socialismo, ispiratagli da Maffeo Pantaleoni, e il suo timore per la diffusione del bolscevismo in Europa, lo spinsero lentamente nelle mani di Mussolini.
Preziosi si iscrisse ai fasci di combattimento il primo maggio 1920 e si schierò apertamente contro il libero mercato. Poco dopo, egli si prese cura di tradurre dall’edizione inglese i Protocolli dei Savi anziani di Sion e di diffonderli. I Protocolli erano originariamente dei documenti pubblicati nei primi anni del XX secolo nella Russia zarista, in essi si parlava di una cospirazione mondiale organizzata da un gruppo ebraico-massonico, volto al controllo dell’intera umanità. Già dopo pochi anni successivi alla pubblicazione, fu appurato che i Protocolli fossero un falso architettato dalla polizia segreta zarista (Okhrana), infatti, una serie di articoli apparsi nel 1921 sul Times, elaborati da storici ed esperti, dimostrarono che in realtà gran parte di quanto scritto in quei documenti fosse frutto di plagio (erano stati estrapolati estratti da opere satiriche e romanzi, spesso nemmeno correlati agli ebrei). Scrisse Montanelli: «L’antisemitismo di Preziosi ricalcò tutte le argomentazioni naziste sulla congiura mondiale dell’ebraismo, attingendo largamente, per convalidare le sue tesi, a quel grossolano falso che porta il nome di Protocolli dei Savi Anziani di Sion».
Quando il vecchio regime zarista fu spazzato via completamente dalla Rivoluzione d’ottobre (1917), alcuni dei movimenti europei di estrema destra imputarono l’ascesa dello «spettro rosso» proprio al presunto gruppo ebraico-massonico. La pubblicazione dei Protocolli nella Russia pre-comunista, va inquadrato in un contesto di antisemitismo che trovava la sua forma più radicale nei Pogrom (letteralmente devastazione, distruzione), ovvero episodi di violenza verso gruppi di comunità ebraiche, giustificati con motivi religiosi ma mossi in realtà da fattori economici (spesso volti all’estinzione di debiti difficilmente risanabili, con la tacita approvazione delle autorità); clima dunque apertamente ostile, ancora sconosciuto nella Penisola.
Nel 1922 Preziosi ebbe i primi contatti con esponenti del futuro Partito Nazionalsocialista e nell’estate dello stesso anno scrisse un articolo intitolato Gli ebrei, la passione e la resurrezione della Germania che, circa vent’anni dopo, in piena guerra mondiale egli definirà come il manifesto della futura amicizia fra l’Italia fascista e la Germania hitleriana. Dal 1923 divenne direttore del quotidiano Il Mezzogiorno, testata attraverso la quale diffuse le sue idee xenofobe e si scagliò contro gli individui che definiva «fascisti dell’ultima ora», ovvero coloro che, secondo lui, si avvicinavano al Duce per approfittarsene, senza essere mossi dalla causa nazionale. Dopo il 1933, anno di ascesa al potere di Hitler, Preziosi acquisì sempre più prestigio per le sue amicizie in orbita tedesca. Nel 1938 egli fu tra i firmatari del Manifesto della razza, stesso anno nel quale Mussolini annunciò le leggi razziali dal balcone del municipio di Trieste (le leggi furono poi abrogate soltanto nel 1944 dal provvisorio Regno del Sud). «Tra i pochi che delle leggi razziali fasciste ne trassero grande vantaggio fu l’abietto prete Preziosi che, benché antipatico a tutti e anche a Mussolini, divenne ministro di Stato, mentre era uomo che meritava solo di finire in carcere», commentò anni dopo Francesco Saverio Nitti.
Il 26 luglio 1943, il giorno dopo il cosiddetto tradimento, Preziosi incontrò il Führer al quale confidò la poca dedizione dimostrata da alcuni membri del governo nella soppressione degli esseri inferiori (è probabile che Preziosi mirasse alla creazione di veri e propri campi di concentramento, dato che riteneva inconcludenti le sole deportazioni). Hitler, tuttavia, lo considerò incapace di rifondare il fascismo in Italia e ripose le sue ultime speranze ancora una volta in Mussolini. Preziosi rimase in Germania anche dopo la formazione della Repubblica Sociale Italiana, che criticò aspramente poiché destinata, secondo lui, a essere un aborto politico. Con le sorti della Seconda guerra mondiale ormai decise, Preziosi veniva considerato dai gerarchi superstiti della RSI un fanatico ossessionato dagli ebrei e dalla massoneria. Dal 15 marzo 1944, ricoprì il ruolo di Ispettore generale per vigilare sul controllo demografico e sulla purezza della razza, e presentò un progetto di legge che intendeva togliere il diritto di cittadinanza a quelle persone considerate indegne.
Nelle prime ore del mattino del 26 aprile 1945, riuscì a sfuggire ad un attentato insieme alla moglie e si rifugiò a Milano. Non durò molto però la fuga dei coniugi Preziosi che, ormai testimoni della definitiva capitolazione del Nazi-fascismo, si suicidarono. Le righe lasciate scritte poche ore prima della morte, testimoniano che nemmeno dinanzi ad un’Europa ormai dissanguata, il feroce antisemita si fosse reso conto dei crimini commessi: «Ho vissuto tutta la mia vita per la grandezza della Patria. Seguii Mussolini perché vidi in lui l’uomo che alla Patria poteva dare grandezza. Dopo il 25 luglio sperai ancora. Oggi che tutto crolla non so fare nulla di meglio che non sopravvivere. Mi segue in questo atto colei che ha condiviso tutte le mie lotte e tutte le mie speranze. Di questo gesto, un giorno, nostro figlio Romano andrà orgoglioso».