di Gerardo Di Martino *
Fino a quando Giovanni Toti ha voluto, ed ha avuto la forza, da solo, di resistere, tutte le istanze di libertà sono state rigettate. Non appena si è dimesso da Presidente della Regione Liguria, la magistratura ha ritenuto che potesse bastare.
Cosa? La manifestazione di potere, anzi di essere un potere, meglio ancora un potere a prescindere, che precede tutto e tutti, e che decide, sempre secondo legge, per carità, della libertà di un eletto dal popolo.
Evidentemente la dimostrazione, dopo le dimissioni di Toti, è stata ritenuta congrua. Ed effettivamente poteva bastare. Tutti abbiamo inteso il senso. Ciascuno di noi si è fatto un’idea.
Negli stessi giorni è arrivata la notizia di un decreto legge “Carcere” voluto dal Governo per sbloccare la situazione incandescente e non più tollerabile delle prigioni italiane, ma che non contempla alcuna, veramente alcuna, disposizione in grado di intervenire, immediatamente, direi d’urgenza (come vorrebbe lo strumento legislativo prescelto) sulla questione.
E, ancora, di una proposta di legge che vorrebbe istituire un’esperienza formativa di quindici giorni di tirocinio per i nuovi magistrati, tra i detenuti in carcere nonché lo studio su testi dedicati al ruolo della giustizia come strumento di garanzia dei diritti e delle libertà.
A parte la considerazione che se fosse vera la ragione della proposta, significherebbe che per oltre 70 anni hanno condannato alla reclusione (anche a vita) magistrati che non conoscono nemmeno lontanamente come si vive in carcere (cosa peraltro ed in parte vera), ancora non si prende atto – o forse si fa finta di non aver compreso – che non servono pezze per coprire il buco ma trapani per abbattere il muro.
A partire proprio dalla riforma del reclutamento dei giudici.
In sistemi come quello voluto nell’88 dal nostro Legislatore, che vedono la prova formarsi di fronte al giudice che emetterà il giudizio sulla responsabilità dell’imputato (e non più nelle segrete stanze della polizia giudiziaria), i magistrati sono nominati dal Presidente, con ratifica parlamentare, o dai governatori dei singoli Stati, o eletti direttamente dal popolo. Accade negli Stati Uniti d’America dove, aprite le orecchie, i giudici federali vengono nominati tra gli avvocati ultracinquantenni che hanno avuto esperienza sia di accusa che di difesa dal Presidente degli Stati Uniti.
Questa, non l’ho mai capita: si ripete gli USA no! E con il rito adottato (accusatorio), con chi dovremmo confrontarci? Con il Belgio, la Francia, la Turchia o l’Ungheria, dove il sistema è completamente opposto?
In Italia i magistrati sono di carriera. Significa che sono scelti da altri magistrati, con un concorso. Sono gli unici, fra i blocchi di potere, che si sostituiscono per cooptazione e non per nomina esterna o per elezione popolare.
E qui veniamo al punto. Questo sistema garantisce loro “l’indipendenza”. Ma siamo certi che conferisca anche “autonomia ed imparzialità”? Sono concetti che devono rimane distinti perché non sempre coincidono.
Negli Stati Uniti (ove, ribadisco, abbiamo l’ortodossia del rito da noi prescelto), il magistrato che ha bloccato Trump è stato nominato da George Bush e ratificato da un Congresso a maggioranza repubblicana. Ma questo stessa nomina, non ha stoppato l’azione penale e l’autonomia è stata sigillata proprio dalla sua provenienza repubblicana e dalla possibilità di agire.
Sempre negli USA non esiste l’indipendenza della magistratura (e i pubblici ministeri fanno capo al ministro della giustizia). Non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale e le carriere tra pm e giudici sono totalmente distinte. Eppure la magistratura è autonoma e il bilanciamento dei poteri funziona perfettamente. Rivolgete lo sguardo alle ultime inchieste contro il figlio del Presidente Biden o contro addirittura l’ex Presidente candidato a Presidente Trump.
In Italia la magistratura è indipendente, c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, le carriere di accusatori e giudicanti sono unificate, la politica non ha potere di intervento sulla magistratura ma la magistratura è in grado di condizionare ampiamente la politica.
Dunque, una decina di anni da avvocato prima, in giro per Tribunali, Corti e carceri non farebbe male. Sicuramente sarebbe una rivoluzione nel modo di agire e di pensare della magistratura, rispetto all’attuale nomina per concorso dopo anni di biblioteca e buie stanze, e laurea (già di per sé connotata da biblioteche e buie stanze).
Non sono sicuro che il sistema democratico americano – che ha moltissimi difetti – sia nettamente superiore al sistema corporativo italiano. Ma non sono sicuro neanche del contrario. Il punto è che in Italia nemmeno mai si tenterà.
*avvocato