Negli ultimi giorni, diversi sondaggi hanno evidenziato scenari derivanti dal Rosatellum che potrebbero non solo rendere più complicate le alleanze politiche, ma introdurre seri motivi di logoramento degli stessi assetti istituzionali. Al Nord, le aspirazioni autonomiste e le pulsioni indipendentiste si vanno rafforzando per iniziativa leghista, E contagiano altri territori, non ostacolate dagli atteggiamenti furbeschi di Berlusconi e Renzi, leader abituati ad assecondare le pulsioni popolari, piuttosto che a governarle!
Si delinea un orizzonte post-elettorale preoccupante. E le maggiori forze politiche non sembrano avere alcuna linea strategica per tentare di governare le conseguenze della possibile divisione di fatto del Paese in tre macro- aree politiche. Il Nord diventerebbe un feudo del centro-destra, che otterrebbe la stragrandissima maggioranza dei collegi. Con una Lega avvantaggiata dal traino della battaglia per l’autonomia in Veneto e in Lombardia, pericolosamente contagiosa! Questa rendita di posizione suscita consensi anche in larghe fette dell’elettorato moderato. Lo hanno dimostrato l’adesione del sindaco di Bergamo e candidato governatore Pd Gori al referendum consultivo e la nomina di Piero Bassetti, nume tutelare del regionalismo e storico primo presidente Dc della regione, nel pool di esperti designato a trattare con il governo!
Questo potrebbe significare una sostanziale scomparsa del Pd da quei territori, per il più diretto legame con gli elettori e l’ovvia maggiore rappresentatività politica di un vincitore nel suo collegio, a fronte di quella, minore e più aleatoria, di un candidato calato nella stessa realtà territoriale grazie al meccanismo proporzionale. Nelle regioni ex rosse e nel Lazio il Pd andrebbe meglio, per accusare un duro colpo al Sud a favore del M5S (con qualche compartecipazione forzista) e resisterebbe solo in Campania e in Puglia. Questo quadro vedrebbe di fatto un protagonismo neo-nordista con sfumature le più varie.
Accomunate però da un singolare rovesciamento logico: non individuazione dei servizi più utilmente gestibili a livello regionale e perciò da finanziare, ma rivendicazione che le risorse finanziarie rimangano sul territorio. Una richiesta che dimostra la sua natura essenzialmente politica. MIna, infatti, ogni meccanismo di possibile solidarietà, indebolendo di fatto la tenuta democratica del Paese. Rispetto a questi non improbabili rischi, dal Sud non giungono che flebili lamentele, ma nessun valido disegno politico.
Il particolare, dal Pd – che si proclama unico vero argine contro populismi e separatismi – sarebbe lecito aspettarsi strategie politiche convincenti. E invece le uniche risposte di governo sono di tipo clientelare, quello bonario di Emiliano o quello arrogante di De Luca. La stessa conferenza programmatica Pd non ha delineato alcuna vera, nuova strategia. Si è risolta, piuttosto, in una serie di messaggi cifrati tra dirigenti e tra componenti interne. Al netto di sorrisi e selfie, ha tuttavia evidenziato una notevole diversità di opinioni tra il segretario e il premier sulle alleanze future. I sostenitori di un centro-sinistra allargato si sono legati a sottili, filologiche interpretazioni del discorso di Renzi (nessun veto al centro e a sinistra). Hanno volutamente dimenticato che il centro, nel linguaggio renziano, comprende anche FI.Eche proprio Renzi ha anche detto che, in caso di insuccesso del Pd, cresceranno le probabilità di un’intesa con Berlusconi. In conclusione, siamo proprio sicuri che dei partiti deboli (e divisi) sappiano e possano davvero governare questo scenario di divisioni, se non di contrapposizioni- tra Nord e Sud, tra città e campagne, tra regione e regione – ed evitare tutti i rischi incombenti per l’unità nazionale ?
di Erio Matteo edito del Quotidiano del Sud