E’ il calvario dei militari italiani internati nei campi dopo l’8 settembre a rivivere nel volume “I campi di Tullio. La storia di un Internato Militare Italiano “di Luigino Ciotti e Dino Renato Nardelli. Sarà presentato domani pomeriggio, alle 17, al Circolo della stampa. A confrontarsi con Luigino Ciotti saranno Giovanni Capobianco – Presidente Provinciale ANPI Avellino, Franco Fiordellisi – Segretario Generale CGIL irpina, Mimmo Limongiello – Presidente AUSER Avellino. Coordina la giornalista Floriana Mastandrea. Appena diciottenne, a tre mesi dalla chiamata alle armi, Tullio viene catturato a Roma dai tedeschi la sera dell’8 settembre 1943. Rinchiuso con altri 35 militari in un carro bestiame, dopo un viaggio di cinque giorni e sei notti, lacero e affamato, viene internato prima nel campo di Kurtwitz in Polonia e poi trasferito nel lager di Sagan, e infine in quello di Gorlitz, costretto a lavorare in una fabbrica di mezzi militari. Il 7 maggio 1945 Tullio viene liberato dalle truppe sovietiche, e senza attendere i tempi del rimpatrio ufficiale, insieme ad altri venticinque ex internati decide di tornare al più presto a casa. Al termine di un lungo ed avventuroso viaggio attraverso mezza Europa, riabbraccia i suoi dopo due anni di stenti, che l’hanno ridotto a pesare 35 chili. La storia che il libro racconta è anche quella di circa settecentomila militari italiani che, catturati sui vari fronti dopo l’8 settembre furono internati nei campi dai tedeschi e subirono la stessa sorte di Tullio Ciotti. Pur potendo tornare in Italia aderendo alla Repubblica di Salò, essi nella stragrande maggioranza scelsero coraggiosamente la disobbedienza civile e la resistenza non violenta, e sopportarono per anni un internamento durissimo. Veri e propri schiavi del Reich furono costretti a lavori pesanti per gran parte della giornata, sottoalimentati e decimati dalle malattie. Cinquantamila di loro, giova ricordarlo, non fecero più ritorno.
I militari italiani fatti prigionieri, per ordine di Hitler furono considerati internati e non prigionieri di guerra, quindi privati delle tutele della Convenzione di Ginevra, proprio per essere sfruttati nelle industrie belliche e in altri settori dell’industria germanica in difficoltà per mancanza di lavoratori chiamati alle armi.
La storia degli IMI è purtroppo ancor oggi poco nota, il loro sacrificio merita di essere conosciuto diffusamente anche dalle nuove generazioni.