Affidare la sorte di un processo penale agli umori della folla non è il migliore viatico per la giustizia, come ben sa chi ha nel proprio DNA la figura di Pilato, giudice intriso dai dubbi, che affida alla massa la scelta della condanna a morte di Gesù e se ne lava le mani.
In questa singolare consultazione sulla concessione dell’ autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno, imputato di sequestro di persona aggravato nei confronti dei 177 profughi recuperati in mare dalla nave “U.Diciotti” della Guardia Costiera, Di Maio potrebbe passare per Ponzio Pilato: dovendo decidere, affida la scelta al “suo popolo”. In realtà, più che a Pilato, Di Maio assomiglia a Caifa: egli ha aizzato la folla a schierarsi contro il processo proclamandosi corresponsabile del misfatto, facendo così da schermo con il suo corpo ai dardi scagliati dai magistrati.
Ha scritto Marco Travaglio nel suo editoriale del 19 febbraio: “Siccome qualcuno aveva evocato il primo referendum processuale della storia, quello indetto da Ponzio Pilato fra Gesù e Barabba, possiamo tranquillamente dire che qui mancava Gesù. Ma ha rivinto Barabba.”
“Certo, – prosegue Travaglio – qualcuno avrebbe votato diversamente se il caso Diciotti fosse stato presentato sul blog in maniera corretta e veritiera, e non nel modo menzognero e truffaldino studiato apposta per subornare gli iscritti (il No per il Sì al processo, e viceversa; il quesito cambiato in corsa ieri mattina per blindare ancora meglio il Sì all’impunità; il sequestro di persona spacciato per un banale “ritardo nello sbarco”; l’invocazione del salvacondotto per “l’interesse dello Stato”, del tutto sconosciuto alla norma costituzionale, che consente – il no al processo solo in caso di “interesse pubblico preminente” o “costituzionalmente rilevante”)”. In questo modo il movimento 5S avrebbe rinnegato la sua stella polare della legge uguale per tutti.
Tuttavia la rilevanza politica, morale e giuridica del voto al Senato sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno non può essere ricondotta nei binari del conflitto sui privilegi della casta. Il tema è un altro, quello degli abusi del potere: se sia cioè ammissibile che coloro che esercitano poteri politici e amministrativi possano operare condotte che – violando la legge – ledano i diritti fondamentali delle persone, come il diritto alla libertà personale garantito dall’art. 13 della Costituzione. Il fine politico della condotta rende forse meno grave l’offesa ai diritti inviolabili delle persone? Qui non c’è il problema dell’immunità del singolo come privilegio, c’è il problema se l’esercizio dei poteri politici debba incontrare il limite del rispetto dei diritti fondamentali o possa svincolarsene. Dietro quest’interrogativo c’è una domanda ancora più profonda. Dal momento che è stata posta in essere una politica che, attraverso provvedimenti legislativi, amministrativi e persino omissioni di atti dovuti (come nel caso della Diciotti), ha assunto la discriminazione come proprio battistrada, dietro quest’insensibilità per la persecuzione degli stranieri, non si intravede forse il ripudio dell’eguaglianza come valore universale?
Allora il voto sulla piattaforma Rousseau non riguarda l’eguaglianza di fronte alla legge, ma lo status di non eguaglianza attribuito ai migranti da una politica miserabile e xenofoba: ci richiama alla mente il grido antico di quella folla aizzata dai sacerdoti del tempio: crucifige!
di Domenico Gallo