Ezio Mauro l’ha definito l’anno zero della politica italiana. Il governo Lega-Cinque Stelle, se come sembra nascerà, potrebbe segnare un punto di svolta. I “quasi” vincitori del 4 marzo sono stati costretti sin dall’inizio della partita a trovare un accordo. Unica possibilità per avviare la legislatura. I forni di Luigi Di Maio erano finti, quello con il PD non si è mai veramente aperto. L’unica bottega era quella leghista. Da quel pane deve uscire un governo altrimenti la legislatura nascerebbe già morta. Salvini si è mosso dunque per smussare e ridurre il peso di Berlusconi colpito dalla “fatwa” grillina. Lo ha fatto senza umiliare il leader di Forza Italia che adesso riabilitato dal Tribunale di Sorveglianza è oggettivamente più forte ed è pronto a tornare in Parlamento e far sentire la sua ingombrante presenza. La trattativa sui programmi tra Lega e Cinque Stelle sembra più il catalogo di Madamina del Don Giovanni di Mozart. Un lungo elenco di cose da fare senza però indicare cifre e coperture. E c’è poi l’aspetto politico e l’assenza di un premier. Nessuno tra Salvini e Di Maio vuole che l’altro sia percepito come il vincente. Il leader leghista ha però un sicuro vantaggio. E’ il nuovo padrone del centrodestra, la coalizione più forte e più votata e dunque anche se la situazione dovesse precipitare è il favorito alle prossime elezioni. Di Maio è stato subito stretto nella morsa delle contraddizioni del Movimento, ostile a Berlusconi e allergico alle alleanze. Questa per lui era ed è la partita del suo futuro politico. Se la perde, saranno in tanti a partire da Di Battista a chiedere conto dell’insuccesso. Insomma per Salvini e in misura maggiore per Di Maio un eventuale fallimento e nuove elezioni possono proiettare sulla nascente Terza Repubblica un rischio elevato per i suoi “campioni”. Sta a loro adesso passare dalle tante parole ai fatti. Le attese sono molte. Devono riempire di contenuti mesi di trattative estenuanti. Ma se siamo entrati veramente entrati nella Terza Repubblica, la Prima allora si può dire che è morta o dentro la Renault rossa con il corpo di Aldo Moro o con le monetine lanciate a Bettino Craxi nell’aprile di 25 anni fa. Nel mezzo di quegli anni, nel 1987 il capogruppo della DC Mino Martinazzoli pronunciò parole alla Camera di una stringente attualità. Era in corso il dibattito sulla fiducia al governo Fanfani che portò alle elezioni anticipate. Sono passati più di trent’anni, parole rivolte ad altri protagonisti eppure possono essere state pronunciate in queste ore. Disse Martinazzoli “confesso che, a proposito di tante e smisurate parole, non mi viene in mente niente. E sarà anche questo un segno di quella solitudine che andate denunciando con un’enfasi che soverchia di gran lunga la compunzione. Noi stiamo in verità, con le nostre non volubili ragioni, con la nostra difficile ma doverosa coerenza. Non stiamo al gioco, insomma. E ci viene fatto di chiedere, piuttosto, se la vostra gremita ed esuberante compagnia sia, poi, così allegra e spensierata o se non avverta la nostalgia di qualche cosa di impegnativo che la rassicuri. Io credo che la politica è altrove e che, prima o poi, dovrete tornarci. Noi vi aspettiamo lì”. E’ un messaggio in “bottiglia” lanciato da un uomo della Prima Repubblica. I protagonisti di oggi dovrebbero farne tesoro. La politica è altrove e sarebbe opportuno andare a ricercarlo uscendo dalla propaganda. Abbandonando le follie dialettiche non sono di questi giorni ma di tutta una campagna elettorale che sembra non finire mai. E’ il tempo di dire basta all’egocentrismo e di pensare veramente al Paese e al bene comune.
di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud