di Pasquale Areniello
Per il presidente Matteo Claudio Zarrella, la riflessione sul più grande processo della storia ha radici lontane. Il primo passo negli anni 90 del secolo scorso, concretizzatosi nel saggio “Le tavolate dei misteri”, pubblicato nel 1996 nell’ Enciclopedia Illustrata dell’Irpinia.
Un’attenta valutazione delle tradizioni e dei riti popolari del paese natio, con un riferimento alle circostanze storiche e alle condizioni economico sociali, che portarono al processo e alla condanna del Redentore.
E’ poi la volta del dramma “Quid est veritas?” che, al momento, conta tre edizioni 2002, 2017, 2019. L’opera focalizza l’attenzione dell’autore sull’aspetto giuridico della vicenda, inserita all’interno di una storia e di una società, analizzata nei minimi dettagli, non disgiunta da una radicata coscienza religiosa.
Si esercita qui tutta conoscenza, la non comune e solida cultura del giudice istruttore, del magistrato, del presidente del tribunale con tutto il suo bagaglio di esperienze vissute in prima persona, nell’esercizio del più difficile e nel contempo esaltante “mestiere”.
E dell’opera non si contano ormai le recite in ogni parte d’Italia, manifestazioni, accompagnate sempre da dibattiti, convegni, confronti, con il coinvolgimento di studiosi ed uomini di cultura di valore, sugli aspetti storici, umani e giuridici della vicenda.
Di qui il fascino di un’opera che descrive con mano sapiente, analizza e scandaglia, le vicende e l’anima di chi è stato protagonista di quella storia, in tutto il suo spessore, a tutti i livelli…
Il 24 marzo, alle 18,30, nei saloni del palazzo baronale Filangieri, a Lapio, la recita di Quid est veritas? Il ritorno ad Itaca, l’approdo, lì accanto alla piazza della lontana adolescenza per il Presidente Zarrella?
Assolutamente, no! Nell’Odissea dell’anima del presidente Matteo Claudio Zarrella non c’è Itaca e non c’è approdo.
Per chi, da una vita ormai, si chiede “Quid est veritas” c’è soltanto un orizzonte che si estende all’infinito, che trascolora in lontananza dove la domanda di sempre non trova una risposta definitiva, pur avendone proposte così tante, da perderne il conto…
Ed è un’anima, che si interroga e si tormenta, pur sostenuta dalla radicata convinzione manzoniana che su tutto, al di là di tutto c’è sempre un Dio che “atterra e suscita, che affanna e che consola”. In questa ottica e alla luce di questa convinzione, lo stesso sacrificio di Cristo, il tradimento di Giuda, il giudizio di Pilato rientrano in quel disegno della Provvidenza, dove tutti gli accadimenti si dispongono secondo un ordinato fine.
E basterebbe questo a rasserenare la coscienza, ma il Presidente Zarrella non si è fermato a questo, lasciando ai singoli personaggi, dal più grande ed impegnativo al più piccolo, una sua coscienza, un suo intimo tormento.
E’ il dramma di Giuda, il traditore, è Pilato, con la sua tremenda solitudine, è Maria con la sua straziante angoscia di madre, dinanzi al dramma di un figlio, è l’umanità di Maddalena…
E se è vero quanto lo stesso presidente Zarrella ha ripetuto in più di un’occasione “Parliamo degli altri, ma alla fine parliamo di noi stessi”, il dramma della passione di Cristo è il dramma, l’autobiografia di un’anima drammaticamente coinvolta , quale è appunto quella dell’autore.
Il magistrato, il presidente di un tribunale, l’uomo che ha, come unico scopo e obiettivo del suo “mestiere”, la ricerca della verità, testimonia in quest’opera tutto il suo appassionato coinvolgimento, tutta la sua intima tensione, tutta la sua solitudine nell’esercizio responsabile della sua funzione.
Ed è sicuramente questa la cifra più autentica della sua arte…
Donarla alla sua terra d’origine è un gesto di grandiosa generosità.