L’Italia della crescita, il paese del benessere e del boom economico fa ormai parte di un passato che tanti oggi hanno solo sentito raccontare e non hanno mai vissuto. Adesso viviamo, come dicono i sociologi, il tempo rattrappito del presentismo. Ci si perde e ci si logora nelle polemiche quotidiane. Non c’è una cultura condivisa. Nessuna capacità di affrontare le nuove sfide ma solo la voglia di contrapporsi all’altro. Liliana Segre nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Mattarella e testimone della Shoah va anche oltre e punta la sua analisi sull’odio che c’è nella società attuale. Odio che non è un fatto di questi giorni. Ricorda la Segre che dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, i vinti per anni tennero per sé certi discorsi ma la storia è terribile, rende tutti dei vinti: e certi discorsi tenuti nascosti riemergono, il tempo passa, i testimoni muoiono, e ritornano alla luce i sentimenti più osceni e per questo occorre istituire una commissione parlamentare di controllo sui fenomeni di intolleranza e razzismo. La Segre dunque vede una rottura che si è creata nella società figlia della crisi e dell’eccesso di individualismo. Ci rinchiudiamo nei nostri recinti perché l’altro può sottrarci il nostro presente più che il nostro futuro. Proprio oggi il 21 marzo del 1931 è nata la poetessa Alda Merini scomparsa il primo novembre del 2009. In versi ha cantato il dolore degli esclusi, degli ultimi. Una vita in bilico tra la sua straordinaria capacità poetica e la malattia mentale con la quale ha dovuto convivere. In una intervista rilasciata poco prima di morire la Merini parla del suo successo definendolo “come l’acqua di Lourdes, un miracolo. La gente applaude, osanna e ti chiedi: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo? Penso che la folla, anche piccola, che ti ama ti aiuta a vivere. In fondo un poeta ha anche qualcosa di istrionico e di folle. Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte. Ma anche questo luogo oggi è distante. Mi capita a volte di rivederlo in sogno. Io sogno tantissimo. E tra i sogni ne ricorre uno: sono dentro a un luogo chiuso, e io che cerco le chiavi per uscire. Forse sono mentalmente ancora in quel luogo che mi ha ucciso e mi ha fatto rinascere. Mi sento una donna che desidera ancora. Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare”. Parole lontane da chi oggi il successo lo cerca nella politica o nello spettacolo mettendosi solo in mostra provando a far parlare di sé. Ci si appella al popolo, si dice perché lo vuole il popolo e così in tanti si sentono in diritto di dileggiare o di assistere al dileggiamento. Una società dell’odio come la descrive la Segre che usa i social come manganelli. Il fondatore del Censis Giuseppe De Rita che ha 86 anni sostiene che la sua generazione è stata felice perché ha potuto fare il salto in avanti rispetto alla miseria degli avi contadini. L’attuale risentimento nasce in chi non ce l’ha fatta. O in chi teme che i propri figli non abbiano le stesse chances. Gli italiani hanno il terrore di scendere di un pianerottolo o anche di un solo gradino. E soprattutto stanno male nell’ascensore fermo. E allora tornando ad Alda Merini, dai nostri spazi stretti e chiusi come ascensori dovremmo avere la forza di uscire. La poetessa dei dimenticati scriveva che “la cattiveria è degli sciocchi, di quelli che non hanno ancora capito che non vivremo in eterno”.
di Andrea Covotta