“Credere che la mafia non esista è il lasciapassare perché continui a proliferare sui territori”. A sottolinearlo con forza l’onorevole Chiara Colosimo, presidente Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie nel corso del confronto dedicato al Carcere Borbonico alla figura del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990 e beatificato il 9 maggio 2021. Un confronto a partire dalla mostra “Sub tutela dei” al Carcere Borbonico, promossa dall’Associazione Libera Forense e dal Centro di solidarietà di Avellino “Giovanni e Massimo”, che proseguirà fino al 12 novembre. Al tavolo con Colosimo il procuratore Airoma, l’avvocato Carlo Torti della Libera Associazione Forense e l’avvocato Nicola Formica. A portare i propri saluti il prefetto Paolo Spena e il presidente dell’Ordine degli avvocati Fabio Benigni. “Il giudice Livatino – prosegue Colosimo – deve rappresentare un esempio per i giovani, in contrasto con la narrazione comune che parla di soldi facili e di pistole nelle borse Fendi. Livatino è uno dei tanti uomini e donne che hanno fatto della legalità una bandiera e che per quella normalità hanno perso la vita e ci hanno regalato l’Italia in cui viviamo”. E sull’allarme criminalità in Irpinia “Bisogna avere il coraggio di dire sempre le cose come stanno, di fare i nomi dei clan e ribadire che c’è solo un modo per sconfiggere la mafia, quello che ci hanno insegnato tanti eroi quando ci incoraggiavano a non smettere di parlarne. Perciò siamo qui, perchè non si spegnino i riflettori sul problema criminalità organizzata in questo territorio”. Non ha dubbi Colosimo “I giovani posso fungere da manovalanza della criminalità organizzata, ecco perchè dobbiamo lanciare loro un messaggio forte, semplificandolo il più possibile. Ai giovani va detto che fare soldi facili, magari spacciando, è un modo per entrare e uscire dal carcere e non godersi quei soldi. Fare soldi con il sudore, con il sacrificio, con lo studio è invece è una possibilità di riscatto per i territori, soprattutto quelli del Mezzogiorno perchè apre alla possibilità di sviluppo per questa terra”. Una criminalità capace di infiltrarsi nei diversi settori della società come dimostrano i numerosi casi di corruzione legati in particolare al settore dell’edilizia “Dall’inizio del mio mandato dico che tagliare le casse ai clan è l’unico modo per fermarli. Oggi abbiamo una mafia che si occupa più di economia che di altro, su questo dobbiamo essere inflessibili”. E su Caivano e la gestione dei beni pubblici degli amministratori “E’ uno dei temi che ho posto all’attenzione della Commissione parlamentare – prosegue Colosimo – si insedierà un Comitato che si occuperà delle infiltrazioni nei Comuni. Dobbiamo ribadire con chiarezza che chi fa da tramite con la criminalità dentro le istituzioni deve essere sbattuto fuori. Nè bisogna sottovalutare la parte amministrativa e tecnica che spesso nei Comuni fa da tramite tra chi viene eletto e chi cerca di infiltrarsi. Su Caivano non possiamo ancora dirci soddisfatti ma siamo convinti che l’attività di repressione accompagnata a quella di una rieducazione possa portare risultati importanti. A Caivano ho trovato tanta sofferenza nelle nuove generazioni che però non ha inquinato la speranza”. Ricorda come “è fondamentale modificare ciò che non funziona. Penso alla legislazione sui testimoni di giustizia, costretti a fare i conti con una profonda solitudine, costretti ad aspettare anni prima di essere protetti, proprio come è accaduto a Piero Nava, il testimone dell’assassinio di Livatino che ha portato alla condanna dei colpevoli”. Spiega come “la nostra vita è fatta di scelte, i ragazzi non devono dimenticare che con lo spaccio di droga foraggiano la criminalità che ricicla soldi per traffici illegali e e fare danni alla comunità. I veri ribelli sono coloro che sono capaci di dire no alle scorciatoie, di non voltarsi dall’altra parte. La criminalità finirà quando le comunità sapranno scegliere da che parte stare, quando tutti cominceremo a dire no, quando l’antimafia del popolo sarà al fianco dell’antimafia di Stato”.
E’ il prefetto Paola Spena a ricordare come Livatino rappresenti una figura straordinaria, esempio di coerenza assoluta nello svolgimento della sua professione di magistrato. Airoma sottolinea come la grande partecipazione degli studenti alla mostra sia il segno che “abbiamo bisogno di una ventata di genuinità, come quella incarnata da Livatino. Anche per me la scoperta di questo giudice, di cui nessuno parlava, è stato motivo di cambiamento. Oggi siamo chiamati a comprendere l’attualità di questa figura che ci mette di fronte alla nostra coscienza, ci ricorda che per essere bravi magistrati dobbiamo coltivare qualità come equilibrio e discrezione. Ci è affidato un compito per il bene comune ma spesso non lo incarniamo e anteponiamo i nostri interessi a quelli della comunità. Livatino ha incarnato questa idea di giustizia, di attenzione alla collettività, la sua vita ordinaria, vissuta in modo straordinario parla per lui”. Chiarisce come “Livatino rovescia il tentativo di leggere la storia secondo parametri tranquillizzanti e ideologici. Si è occupato di mafia ma senza fare il magistrato antimafia. Ha risposto fino in fondo alla propria missione, tra i primi a occuparsi di prevenzione. La speranza è che diventi presto santo e un giorno patrono dei magistrati”. Di qui l’invito ai ragazzi a coltivare le proprie passioni. “Troverete nella vostra coscienza – prosegueAiroma – la forza di realizzare i vostri progetti. Dobbiamo smetterla di ragionare secondo parametri retributivi ma piuttosto secondo la logica del dono”. Per ribadire che “possiamo realizzare grandi cose solo se non spegniamo l’interruttore della propria coscienza, se ci apriamo a una dimensione spirituale che dia un senso ai nostri riti quotidiani”. Mentre Carlo Torti si sofferma sull’ordinarietà dell’esistenza di Livatino “Le sue agendine raccontano di un uomo che cercava l’amore, appassionato di calcio ma sempre autentico nelle sue esperienze di vita. Un uomo che ha operato miracoli nei suoi stessi assassini o in una figura come quella del testimone Nava che ha sentito suo dovere raccontare ciò che aveva visto” per ribadire il successo di una mostra, partita dal meeting di Rimini, per fare tappa in 65 città d’Italia